Negli ultimi decenni, numerose città europee hanno assistito a una trasformazione radicale della loro struttura sociale e urbana. In particolare, i centri storici — un tempo abitati da una popolazione eterogenea e vivace — si stanno progressivamente svuotando dei ceti popolari, spinti verso le periferie o fuori dai confini cittadini a causa dell’aumento vertiginoso dei prezzi immobiliari, della diffusione incontrollata degli affitti turistici e della gentrificazione. L’aumento del valore immobiliare nei centri storici, alimentato da record di affitti impossibili e proliferazione dei B&B, ha provocato una pressione crescente sui residenti storici, costretti ad abbandonare le proprie case a favore di flussi turistici sempre più invadenti. In città come Firenze, Lisbona, Barcellona o Venezia, il turismo di massa ha mutato profondamente l’identità urbana, trasformando le abitazioni in asset finanziari piuttosto che in luoghi di vita.
Progettare un futuro
I contratti a lungo termine vengono progressivamente sostituiti da affitti brevi più redditizi, mentre la conversione degli immobili in strutture ricettive lascia sempre meno spazio alla residenzialità ordinaria. Il risultato è un’esclusione sistematica delle fasce meno abbienti — giovani, studenti, lavoratori precari, famiglie monoreddito — incapaci di sostenere i costi crescenti della vita urbana. Per le giovani generazioni, la situazione si fa drammatica. Chi studia o lavora in città si trova di fronte a un mercato abitativo proibitivo, con affitti mensili che spesso superano gli stipendi di un neolaureato o di un lavoratore atipico. L’acquisto di una casa è una prospettiva sempre più remota: i mutui richiedono garanzie che pochi possono offrire, e i prezzi sono fuori portata anche per chi ha un impiego stabile. Questo scenario alimenta l’insicurezza abitativa e mina la possibilità di progettare un futuro. Il rischio è che intere generazioni crescano in un regime di precarietà strutturale, costrette a spostarsi continuamente, a condividere stanze in condizioni non dignitose o a rinunciare del tutto alla vita autonoma.
L’esempio viennese
Il sogno dell’indipendenza abitativa si allontana, mentre le città diventano sempre più escludenti. In questo contesto, il tema dell’housing sociale, che poi sarebbero le case popolari, torna centrale – Case per garantire il diritto all’abitare a tutti, e in particolare alle fasce più fragili: giovani, studenti, famiglie a basso reddito, lavoratori precari – Non quartieri-ghetto, ma abitazioni accessibili e dignitose, inserite in contesti urbani vivi, serviti e connessi. Diversi paesi europei hanno già avviato esperienze innovative in questo senso. Un esempio paradigmatico è quello di Vienna, dove circa il 60% della popolazione vive in abitazioni a canone calmierato, grazie a una lunga tradizione di edilizia pubblica e cooperativa. Il modello viennese si fonda su un mix equilibrato di intervento pubblico, cooperazione sociale e alta qualità architettonica. Gli alloggi non solo sono accessibili, ma anche inseriti in quartieri ben progettati, con spazi comuni, verde urbano, trasporti efficienti e servizi pubblici. Anche Amsterdam ha investito molto in housing sociale, con politiche di inclusione che impongono ai costruttori privati di destinare una quota significativa di nuove abitazioni all’edilizia agevolata. Inoltre, il sistema di assegnazione basato su graduatorie trasparenti garantisce un’effettiva equità nell’accesso.
Il piano a Barcellona e in Francia
Barcellona, invece, sta cercando di contrastare gli effetti della turistificazione attraverso una politica di regolazione degli affitti brevi e una strategia municipale che punta al recupero degli immobili sfitti per l’housing pubblico. La città ha anche istituito un diritto di prelazione su immobili in vendita per poterli destinare a finalità sociali. In Francia, il programma “Logement d’abord” promuove l’accesso immediato a un’abitazione per le persone in difficoltà, con un approccio che considera la casa come prerequisito per la stabilità personale e l’inclusione sociale, non come un premio da ottenere alla fine di un percorso di reinserimento. Il futuro delle giovani generazioni dipenderà dalla capacità delle città di riconoscere l’abitare come un diritto e non come una merce. Per farlo, è necessario un cambio di paradigma: dal mercato alla comunità, dalla rendita alla redistribuzione. Servono politiche pubbliche coraggiose che fermino la speculazione, regolino gli affitti brevi, incentivino la cooperazione e rilancino un modello di edilizia sociale integrata e di qualità. Solo così si potrà garantire alle nuove generazioni non solo un tetto sopra la testa, ma anche la possibilità di vivere, partecipare e crescere in una città inclusiva e giusta. Senza una risposta strutturale al problema abitativo, il rischio è quello di città belle ma vuote, centri storici museificati, vite precarie ai margini. Ma se si investe nell’abitare come bene comune, la città può tornare ad essere un luogo di opportunità, e non di esclusione.
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Tullio Camiglieri