di
Aldo Cazzullo

Intervista al presidente della Cei: «Il Conclave? C’era chi temeva i dossier, ma questo non ha avuto conseguenze. Meloni? I rapporti sono buoni e per questo, se serve, dialettici. Se il mondo cattolico svolta a destra dopo il suo successo a Rimini? Sono stato a Rimini anche io, sono cattolico anche io, e sono cattolici anche loro…»

DAL NOSTRO INVIATO
BOLOGNA – Cardinale Matteo Maria Zuppi, don Matteo, è la sua prima intervista dopo il conclave. Ci dica allora: com’è andato il conclave? (Il presidente dei vescovi italiani sorride, ndr). 
«Per principio, bene». 

Come le è sembrato? 
«Chiesa. Molta Chiesa. Le dirò quello che mi ha colpito dentro, e quello che mi ha colpito fuori». 



















































Cominciamo da dentro il conclave. 
«La rapidità con cui le diverse storie, le diverse sensibilità, che sarebbe stupido negare o edulcorare, hanno trovato l’unità. È durato poco più di un giorno! Ho avvertito un senso di Chiesa, tanta comunione. Non perché non ci siano differenze di culture e di visioni: un nordamericano è diverso da un sudamericano, un africano da un europeo, e tra gli europei non è facile mettere insieme, che so, un polacco e un belga. Ma tutte le interpretazioni politiche e complottistiche sono state lasciate fuori. Mi verrebbe da dire che proprio sono caricature con cui si interpreta una realtà diversa come la Chiesa». 

E all’esterno del conclave, che cosa l’ha colpita? 
«Da una parte, l’aggressività dei social. Io non sono sui social, ma ogni tanto mi segnalavano un articolo o un post contro di me. Cose tipo “quel pretaccio con la faccia da faina…”. Quanta aggressività! E non lo dico perché ce l’hanno con me, fanno bene, figuriamoci, ma per l’odio e il pregiudizio che viene versato, ed è sempre un veleno». 

È così un po’ per tutti. 
«I social hanno vissuto moltissimo nel Totopapa, il che ha aspetti divertenti. L’altro giorno in stazione un gruppo di ragazzi mi ha chiesto di fare una foto insieme dicendo: “Noi abbiamo tifato per lei!”. Anche in un paesino sulle montagne reggiane una barista mi ha detto: “Dobbiamo fare un selfie e mandarlo a mia figlia, che tifava per lei”. Quanti anni ha sua figlia?, ho chiesto». 

Quanti anni aveva la figlia della barista? 
«Quattordici. Alla sua età non avrei davvero saputo, non dico per chi tifare, ma anche solo i nomi di chi andava in conclave. Tutto sommato mi pare un segno di vitalità e anche un dono di papa Francesco che ha avvicinato la Chiesa a tutti, se una ragazzina può avere simpatia, sentire vicino quello che riguarda un gruppo di uomini anziani». 

Com’era l’atmosfera nella Sistina? 
«C’era chi temeva i dossier; e in effetti sui siti, molti americani, c’erano tanti dossier sui cardinali. Ebbene, tutto questo all’interno mi sembra che non abbia avuto nessuna conseguenza. Oltre alle diverse sensibilità, ci si è resi conto che il problema dell’unità riguarda tutti. Chiunque viva nella Chiesa se lo deve porre, per evitare quello che i greci chiamavano “diaballon”: dividere». 

Da cui la parola diavolo. 
«“Il divisore”. La diversità nella comunione è ricchezza e responsabilità. Nella divisione o diventa condominio oppure ostilità. Esattamente il contrario di quello che Gesù ha fatto, e con il suo esempio ci chiede di fare».

Eminenza, le dico invece cosa ha colpito me, dall’esterno: l’aggressività dei conservatori. I cardinali Burke, Sarah, Mueller alla vigilia del conclave hanno dato interviste durissime, auspicando l’elezione di un Papa «non eretico»; come se Francesco lo fosse stato. Sia pure con ben altro stile, il cardinale Ruini ha indicato la necessità di un Papa che riunificasse la Chiesa; all’evidenza ritenendo che Francesco l’avesse divisa. 
«Questa lettura, a partiti, a schieramenti, a mio parere non interpreta correttamente il conclave. La Chiesa è più complicata e molto più semplice di così. Non lo dico io, lo disse papa Francesco, in un’omelia nella festa della Pentecoste: progressisti contro conservatori, il mondo ci vede così; ma noi siamo fratelli e sorelle, uniti nello spirito. Il vero problema è la comunione, che è la nostra forza, dove si partecipa molto più di qualsiasi democrazia e si è insieme in modo che io e noi si completano, mio e tuo coincidono. A volte si sente l’esigenza di andare incontro agli altri. Altre volte si sente di più l’esigenza di difendere la propria identità». 

Nel conclave ha prevalso questa seconda esigenza? 
«Ha prevalso la continuità con papa Francesco. Stili diversi, ovviamente. Continuità con la novità che ognuno porta con sé. Leone è un Papa missionario. Ha vissuto praticamente sempre in missione: un americano di Chicago che parte per il Perù. Nello stesso tempo, è uomo di governo: ha governato la sua congregazione, la sua diocesi, poi il dicastero dei vescovi, con modi necessariamente diversi. E il suo primo discorso è stato un riassunto dell’Evangeli Gaudium». 

Alla morte di Francesco si sono sentite molte voci critiche. 
«Di più. Francesco è stato apertamente oltraggiato. E anche Leone: qualche rivista, qualche sito ha gettato fango sul Papa appena eletto. Un atteggiamento divisivo o intimidatorio». 

È stato detto che Francesco piaceva più agli atei che ai fedeli. 
«Sì, qualcuno ha commentato di aver parlato più a quelli di fuori che a quelli di dentro. In realtà, parlando ai non credenti, papa Bergoglio ha parlato ai cattolici, perché non diventiamo come il fratello maggiore della parabola. L’uscire ha rivelato molte resistenze, molte debolezze, molte fragilità. Resto convinto che ci sia dialettica e non opposizione tra essere chiamati e essere mandati, il nostro stare insieme e l’andare verso gli altri, lo spirituale e il sociale, l’evangelizzazione e la promozione umana, la preghiera e l’amore concreto per il prossimo». 

Altro che Chiesa ong. Prendersi cura dei poveri non è altro rispetto al Vangelo; è il Vangelo. 
«Certo. Don Milani avrebbe detto: “Non so se ho amato di più i bambini del Padreterno; ma Lui me lo metterà a sconto”. A volte, preso più dal servizio, dimentichi la preghiera. Ma se non c’è la preghiera, perdi il servizio, diventi sterile. Francesco teneva insieme la cura della comunità e l’accoglienza. Una delle cose che ci disse fu: “Tutti”. A Lisbona lo disse tre volte: dobbiamo aprirci a tutti, e tutti debbono sentirsi a casa». 

Come si fa ad accogliere tutti? 
«Questo mette in difficoltà alcuni preti, preoccupati comprensibilmente che così diventiamo un’altra cosa: non contrastiamo più il mondo, e il mondo entra dentro di noi. Le regole esistono e si fanno rispettare. Ma integrando, cioè facendo sentire a casa, non tollerati o condannati. Colui che sembra straniero entra perché in realtà è figlio Suo e fratello nostro. E come impara quelli che sono stati chiamati i principi non negoziabili? Stando dentro, vivendo con gli altri. Noi dobbiamo essere la casa di Dio, non l’albergo, come avrebbero detto i nostri genitori, almeno i miei. Tutti dobbiamo imparare a vivere a casa, a pensare in relazione al Signore e agli altri». 

Pensa che il bilancio di Francesco sia positivo? 
«Certo. Molti hanno ricominciato a guardare alla Chiesa con simpatia e affetto. Eppure Francesco non faceva sconti. Con lui non c’erano i saldi di fine stagione cristiana. Era molto esigente. Non era un filantropo. Ma ha insegnato a tanti a amare l’altro. Fratelli tutti. Dava amore, chiedeva amore». 

Però non ha cambiato la Chiesa. 
«A lui interessava più avviare i processi che pensare di avere risolto tutto perché si era elaborato un programma. La nostra responsabilità è continuarli e costruire. Ognuno prende, completa, porta avanti. La tradizione non è mai fissità; la si consegna non congelata nella vita. Ogni Papa porta il suo contributo. Chi passa il tempo a fare confronti non si interroga su quello che ogni Papa porta. Giovanni XXIII era il Papa buono; questo significa che Pio XII era cattivo? E Paolo VI, un gigante della storia? E Giovanni Paolo II? Ognuno porta qualcosa di originale, di unico. Francesco e Benedetto erano diversi; però hanno scritto un documento insieme, per la prima volta un Papa ha detto: l’ho fatto con il mio predecessore. E papa Francesco si è messo in cammino proprio come auspicava papa Benedetto. Poi, capiremo tutto solo alla fine». 

Papa Francesco andava a Lampedusa. Papa Leone riceve Salvini. Sono scelte oggettivamente diverse. 
«Contrapporre il parlare con il fratello minore e il parlare con il fratello maggiore è sbagliato. Il Papa è padre, e parla con tutti. Parla al fratello maggiore e gli spiega perché ama il fratello minore». 

Salvini è il capo dell’estrema destra italiana. 
«È vero che Francesco non l’aveva mai incontrato. Però Leone aveva già incontrato la premier Meloni e il vicepremier Tajani. È normale che abbia incontrato anche l’altro vicepremier. Poi bisogna vedere cosa gli ha detto… Ripeto: non mi pare un segno di contrasto tra Francesco e Leone. Leone difenderà l’accoglienza, difenderà gli stranieri, perché è nel Vangelo: “Ero forestiero e mi avete accolto”. Troverà modi diversi per fare la stessa cosa, per vivere la stessa preoccupazione». 

Libero titola: «Il Papa fa, i vescovi disfano». 
«Cosa avremmo disfatto?». 

Il tema era la politica estera, il rapporto con Netanyahu, il giudizio su Gaza.
«Ma su Gaza papa Leone è stato durissimo! Ha chiesto più volte il cessate il fuoco! Il patriarca Pizzaballa ha detto che i cristiani rimarranno a Gaza; ma lei pensa che potrebbe farlo, se il Papa non fosse d’accordo? Nello stesso tempo vigiliamo contro l’antisemitismo, amiamo gli ebrei, dialoghiamo con i loro rappresentanti religiosi. Qui a Bologna abbiamo firmato una dichiarazione comune con il presidente della comunità ebraica. Il titolo era: fermi tutti! Aggiungerei: subito!». 

Giorgia Meloni ha avuto un trionfo a Rimini. Il mondo cattolico svolta a destra? 
«Sono stato a Rimini anch’io, anch’io sono cattolico, e sono cattolici anche loro… (il cardinale Zuppi sorride, ndr). La Chiesa è tutta la stessa. Guai a dividerla. Soprattutto, guai alla Chiesa che si fa dividere. Io poi cerco di vivere la comunione che vuol dire amicizia e relazione con tutti, con Cl e con i tradizionalisti… Sempre fratelli sono. Io ci credo alla comunione. Qualcuno ci crede un po’ di meno e pensa che la comunione c’è se gli si dà ragione. Al Papa si obbedisce sempre». 

Oltre a essere entrambi cattolici, lei e Meloni siete entrambi romanisti… 
«Ho visto che hanno provato a far passare per romanista pure il Papa… A dire il vero, non sono mai stato allo stadio a vedere una partita in vita mia. E poi devo stare attento, qui c’è il Bologna, che è una grande squadra». 

Come sono davvero i suoi rapporti con Meloni? 
«Buoni, come deve essere con le istituzioni. Ci conosciamo da tanti anni. Buoni e per questo, se serve, dialettici. La Chiesa parla quando parla la Cei. Se un vescovo dice una cosa, la dice lui, il vescovo. Siamo sempre stati molto attenti a esprimere posizioni unitarie. Quando abbiamo una preoccupazione sui problemi, la diciamo. Sull’8 per mille. Sulla necessità di salvare le vite umane, sempre, di garantire un sistema di accoglienza». 

Vi siete espressi pure contro l’Autonomia differenziata… 
«Il consiglio permanente, anche perché alcune conferenze regionali avevano già scritto documenti molto contrari. Mi pare che la riforma si sia lasciata cadere, ma speriamo che sia garantito lo sviluppo delle regioni più povere e delle aree interne». 

…E contro la legge elettorale. 
«Per difendere la partecipazione, consentire agli elettori di scegliere i loro rappresentanti, evitare che i partiti si trasformino in comitati elettorali». 

Papa Francesco le aveva affidato il dossier Ucraina. A che punto siamo? 
«Spero proprio che il dialogo sia iniziato davvero. È decisivo il coinvolgimento internazionale. Compresa la Cina». 

Trump che effetto le fa? 
«Ha riaperto l’idea che si parla, che si dialoga perché solo così si arriva alla pace. Forse servirebbero meno dichiarazioni a effetto, perché poi se non funziona si fa peggio! Il rischio è la logica della forza, distruggere l’edificio comune multilaterale, sovranazionale, che era frutto della Seconda guerra mondiale. Va fatto funzionare, non smantellato». 

I giovani del Giubileo che impressione le hanno fatto? 
«Quanta attenzione, e quanto silenzio! È la conferma che c’è una grande domanda di spiritualità. E che non c’è contrasto tra il discorso spirituale e la promozione umana, la cattedrale e il marciapiedi, l’identità e l’accoglienza. Al contrario; se c’è identità, non hai paura di accogliere. Francesco diceva: abbiamo tanto da dare, e dobbiamo dare tanto. La Chiesa è una riserva di umanità in un mondo sempre più difficile».

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3 settembre 2025