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Gaia Piccardi, inviata a New York

Sfida tra mondi opposti nel primo derby italiano ai quarti di finale di uno Slam: il numero 1 è in modalità Terminator, ma il carrarino è diventato grande

Lorenzo ama camminare da solo per le strade di Manhattan, è un rito che lo fa sentire bene: «Di solito sono pigro, ma qui vado in giro volentieri, la città è piena di riferimenti cinematografici e ritrovarli mi rilassa. C’è talmente tanto caos che nessuno ti considera, e a me la sensazione piace». Jannik appena può si rintana nella suite di un albergo dirimpetto al MoMa che per discrezione gli somiglia: non ha insegna, si confonde tra gli edifici. Esce solo per cenare («Nei miei ristoranti italiani preferiti») o per comprare mattoncini di Lego nel negozio dietro l’angolo, sulla 5th Avenue, possibilmente quando fa buio: «New York è tanto diversa da me e io sono tanto diverso da Lorenzo. Non è né giusto né sbagliato. Sto tanto in hotel, la priorità è riposarmi e, quindi, dormire il più possibile».

Gli opposti si attraggono nel quarto di finale di stanotte, sarà il trentesimo derby in uno Slam, il primo così avanti nel tabellone; Jannik ne ha vinti 15 in carriera (tutti) ma anche Lorenzo non scherza: 13 successi, 4 kappaò, due proprio con il numero uno in occasioni però datate (veloce indoor di Anversa nel 2021, terra di Montecarlo nel 2023), quando Lorenzo non era ancora Musetti top 10 e Jannik era un bozzolo del Sinner dominante di oggi. Il match più atteso dagli italiani piace anche agli americani: Sinner-Musetti è lo show di prime time che l’Open Usa offre al suo pubblico, la nostra cartolina che parte per il mondo: «Non costringo nessuno a tifarmi — sorride Lorenzo — ma spero che l’Italia possa godersi questa partita».



















































Perché accada, perché non finisca con il brutale trattamento riservato da Sinner a Bublik negli ottavi, Musetti sa di dover chiamare a raccolta tutti i suoi talenti, ha cambiato il servizio prima del torneo («Se non ti senti a tuo agio con il movimento, è un attimo perdere fiducia nella battuta: prima oscillavo sui piedi, ora sto fermo, ne esce un gesto semplificato e più fluido») ottenendo le percentuali che Sinner sta cercando (58% di prime in campo con Bublik, ma Jannik sa che per confermarsi campione non basta); però la padronanza del cemento del toscano è di fresca acquisizione, l’altoatesino c’è nato. Musetti racconta di aver toccato il fondo con la sconfitta con Bonzi a Cincinnati («È stato un momento spaventoso»), di essersi puntellato all’amicizia con Sonego per risalire (i due in Ohio sono arrivati in finale in doppio). Il benessere musettiano qui a New York — un set perso, al primo turno — si spiega anche con la presenza della famiglia: la compagna Veronica incinta del secondo erede (maschio), il piccolo Ludovico, più i genitori arrivati da Carrara

«Non li vedevo da un mese, ritrovarli mi ha dato ossigeno. Per essere felice mi basta una buona cena in un posto tranquillo insieme a loro». È la dimensione di figlio che Lorenzo ha fatto fatica a lasciare, coach Tartarini, che a 8 anni fu il primo a intercettare la sua magia, è un secondo padre itinerante, c’è voluto il tempo giusto per acquisire l’autonomia emotiva richiesta dal professionismo di alto livello mentre Jannik, di sei mesi e 15 giorni più anziano, diventava grande lasciando Sesto Pusteria nel 2013, senza voltarsi più indietro. Jannik, quattro Slam a 24 anni, ha coltivato con metodo scientifico la nitroglicerina del suo tennis, Lorenzo ha prima seminato il prato della vita e poi raccolto i frutti dell’investimento: le semifinali a Wimbledon (2024) e Parigi (2025), la sontuosa tourné sulla terra di quest’anno, soprattutto il bronzo olimpico di Parigi raccontano molto di lui. «È vero e schietto come lo vedete — racconta Tartarini —. Se vuole andare alle Atp Finals di Torino dovrà fare un ulteriore salto di qualità».

Il giorno è oggi. Sinner è cresciuto, sembra entrato in modalità Terminator, è strutturato per non risentire del fattore-derby: «La pressione ci sarà, c’è sempre, e sarà tutta su di me. Ma ci sono abituato, le sfide mi piacciono. All’Open Usa tengo tanto» dice pronto a rivestire il costume blu pavone da supereroe notturno davanti alla platea di celebrity della East coast. Musetti non si tira indietro: «Ho sperato di trovare Jannik nei quarti perché voglio provare a batterlo. A livello di ambizione, mi motiva più di chiunque altro. Mi sono convinto di poter giocare bene anche sul cemento, il servizio funziona, il dritto in spinta anche. Sarò più aggressivo: la mia crescita passa anche da questa sfida».

Comunque vada, a New York vincono il tennis italiano, la diretta in chiaro sul canale federale (peccato a notte fonda), lo stile clamoroso di due ragazzi italiani nel delirio puzzolente di patatine fritte di Flushing. Gli americani non distinguono tra football, basket, baseball o tennis. Il silenzio mentre si gioca è un optional non previsto dal regolamento. Di Jannik apprezzano la violenza da videogioco di guerra, seguita dal sorriso timido del ragazzo di montagna, cittadino del mondo quasi controvoglia; di Lorenzo l’eleganza del gesto, il menù dei colpi, l’impressione che sia un’anima troppo sensibile per questo ambiente di picchiatori, come se fosse un panda da proteggere. L’umanità che ci distingue, è l’arma con cui conquistare il cuore cinico dell’America.

3 settembre 2025