di
Guido Santevecchi
A Pechino, in piazza Tienanmen, il leader cinese ha fatto sfilare il meglio dei mezzi dell’Esercito popolare di liberazione e lanciato un segnale su Taiwan (e agli Usa): «Il mondo scelga tra la pace e la guerra». Al suo fianco, il presidente russo Putin e il leader nordcoreano Kim: «Nessun bullo ci frenerà»
Vestito alla Mao, con giacca rivoluzionaria, Xi Jinping ha atteso gli ospiti d’onore Vladimir Putin e Kim Jong-un sotto la Porta della Pace Celeste, li ha diretti verso la tribuna e ha dato il via allo spettacolo.
La celebrazione a Pechino dell’80° anniversario della fine della Seconda guerra mondiale anche nel Pacifico è stata una rappresentazione di grande teatralità geopolitica. Nella storia della Cina è entrata sotto il titolo «Vittoria cinese nella guerra di resistenza e liberazione contro l’aggressione giapponese».
Uno show in tre atti: l’esibizione di potenza militare della Cina; il discorso di Xi Jinping alle truppe e al mondo; la recita di un gruppo di comprimari dal potenziale destabilizzante. Sullo scenario di Piazza Tienanmen.
Il monologo di Xi e l’«avvertimento» su Taiwan e agli Usa
Il monologo di Xi Jinping è partito dalla domanda retorica e inquietante: «Pace o guerra? Dialogo o scontro? Cooperazione che premia tutte le parti o rivalità a somma zero? Oggi l’umanità è di nuovo di fronte a scelte cruciali». In questi giorni, spalleggiato dal «socio» Putin, il presidente cinese ha proposto al cosiddetto Sud del mondo un nuovo sistema di governance mondiale «più equo e stabile», in risposta all’«egemonismo» occidentale: la sua campagna di persuasione ha tratto nuova spinta dalla strategia dei dazi usati come randello da Donald Trump su avversari e alleati. Ma è un gioco di supremazia.
Di fronte ai reparti pronti a marciare in parata Xi ha proclamato che «le forze armate daranno il sostegno strategico al grande rinnovamento della nazione cinese e forniranno grandi contributi alla pace e allo sviluppo mondiali». Poi la parola d’ordine ormai consueta: l’Esercito popolare di liberazione deve accelerare la sua trasformazione in «una forza di classe mondiale capace di salvaguardare risolutamente la sovranità nazionale, l’unità e l’integrità territoriale». È la frase che individua l’obiettivo di lungo termine dei preparativi di Pechino: prendere il controllo di Taiwan e tenere gli americani sotto tiro nel Pacifico occidentale.
Conclusione: «Il grande rinnovamento della Cina è inarrestabile», sta al resto del mondo l’obbligo di adeguarsi per «vivere in armonia ed evitare che le tragedie della storia si ripetano».
Una parata «da 5 miliardi»
Poi il comandante in capo Xi è salito su una limousine scoperta di marca “Bandiera Rossa” per passare in rassegna lo schieramento. Rilanciato dagli altoparlanti lo si è udito gridare più volte ai ranghi: «Soldati, avete fatto un buon lavoro!», «Salve compagni!». La risposta degli uomini chiusi nei loro elmetti è stata un’esplosione: «Comandante, serviamo il popolo!».
Dalla parte della Città Proibita, i cannoni avevano sparato a salve 80 colpi, tanti quanti sono gli anni trascorsi dalla fine della Seconda guerra mondiale. Ottanta anche i trombettieri che hanno scandito i momenti della commemorazione, e mille gli elementi della banda musicale, schierati in 14 file per ricordare gli anni di resistenza contro gli invasori del Giappone imperiale: una guerra che per la Cina cominciò con l’occupazione nipponica della Manciuria nel 1931 e quindi durò tre volte più di quella combattuta dagli americani nel Pacifico, ha sottolineato in questi giorni la stampa di Pechino.
La parata sul vialone Chang’an (Lunga Pace), è stata pianificata come un’operazione militare, per impressionare amici e avversari. Secondo le stime dei rivali taiwanesi sarebbe costata 5 miliardi di dollari, equivalenti al 2% di quanto mette a bilancio in un intero anno l’esercito della superpotenza che minaccia sempre l’invasione dell’isola democratica. Il conto contiene la spesa per il carburante, l’alloggio del personale durante i giorni di prove, la chiusura delle fabbriche più inquinanti per assicurare un cielo limpido sopra Pechino.
Ma quando l’Esercito popolare di liberazione è chiamato ad esibirsi, si muove in grande stile, come si conviene a un apparato che conta oltre due milioni di uomini e donne in servizio permanente, più 500 mila riservisti; 3.700 aerei dei quali 500 bombardieri e 1.800 caccia; 370 navi e oltre 600 testate nucleari attive.
Oggi hanno marciato 10 mila soldati e sono stati fatti sfilare centinaia di missili tattici, balistici, ipersonici, anti-nave, con capacità nucleare, droni volanti e sottomarini trasportati da camion, aerei ed elicotteri sono sfrecciati sulla piazza in formazione a V come tributo alla Vittoria del 1945.
Chi c’era, chi no (e l’«europeo insubordinato)»
Nella tribuna dei dignitari, 26 posti hanno accolto i capi degli Stati che hanno accettato l’invito cinese. Nessun occidentale, a rimarcare il fossato di diffidenza che separa Stati Uniti ed Unione europea dalla politica di Xi che vuole cambiare l’ordine mondiale e offre al cosiddetto Sud internazionale una «nuova governance globale». Unico insubordinato il premier slovacco Robert Fico.
C’era l’immancabile «amico del cuore» Vladimir Putin, nel ruolo consolidato di spalla di Xi, appena compensato con l’accordo per la costruzione del nuovo gasdotto «Power of Siberia 2» che dovrebbe esportare in Cina 50 miliardi di metri cubi di gas russo all’anno (a prezzi molto di favore).
Spicca per la prima volta in un consesso multilaterale il nordcoreano Kim Jong-un, caratterista specializzato in minacce nucleari e ultimamente in recite di pianto pubblico davanti alle madri dei suoi eroici soldati spediti a morire sul fronte della guerra russa contro l’Ucraina.
Nel 2017, Cina e Russia avevano messo il loro peso al fianco degli occidentali per imporre sanzioni dure contro la Nord Corea che aveva compiuto un test nucleare: l’obiettivo era di fermare la corsa alle armi di Kim. Ma il nuovo disordine mondiale ha pagato, lo Zar ha stretto nel 2024 con il Maresciallo un patto di mutuo soccorso bellico, ricevendo milioni di proiettili dell’arsenale nordcoreano per la guerra contro l’Ucraina, in cambio i russi forniscono tecnologia missilistica. Xi è stato forse infastidito dall’abbraccio tra il piccolo vicino nordcoreano storicamente sotto influenza cinese e l’amico russo; o forse ha lasciato fare per dare al socio di minoranza Putin una chance in più di piegare la resistenza ucraina. L’invito di oggi a Kim, la marcia spalla a spalla del terzetto davanti alla Città Proibita, chiariscono che Cina, Russia e Nord Corea sono un grosso problema.
Un piccolo ruolo anche per Aleksandr Lukashenko, il leader bielorusso che qualche settimana fa è stato gratificato da Xi con una «cena in famiglia» durante la quale gli ha presentato la misteriosa figlia Mingze (che si è laureata a Harvard sotto falso nome quando i rapporti con gli Stati Uniti di Barack Obama erano ancora più o meno amichevoli).
Nel cast, il cerimoniale geopolitico di Pechino ha arruolato tra gli altri il presidente iraniano Masoud Pezeshkian e il generale Min Aung Hlaing capo della giunta golpista che in Myanmar ha fatto sparire la signora Aung San Suu Kyi.
Tutti questi personaggi conoscono a memoria il celebre pensiero di Mao Zedong: «Il potere politico nasce dalla canna del fucile».
3 settembre 2025 ( modifica il 3 settembre 2025 | 10:12)
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