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Stefania Ulivi, inviata a Venezia
Il film della regista tunisina commuove tutti e si candida alla vittoria finale
La storia di Hind Rajab arriva dritta al cuore della Mostra. Con l’applauso più lungo e commosso fin dalla prima proiezione stampa del mattino. E anche una standing ovation alla conferenza stampa. Era arrivato al Lido sull’onda della commozione del direttore Alberto Barbera il giorno della presentazione del concorso di Venezia 82, lo scorso luglio e sulla centralità che la tragedia di Gaza, tra appelli e manifestazione, ha conquistato in questa edizione della Mostra. Da oggi a parlare è il film: The voice of Hind Rajab con cui la regista tunisina Kaouther Ben Hania (il suo doc Quattro figlie è stato candidato all’Oscar) è per la prima volta in gara al Lido. La voce, vera, è quella della bambina di 6 anni morta intrappolata nella macchina insieme ai corpi senza vita di familiari, zii e cugini, crivellata dai colpi di un carro armato israeliano. Unica sopravvissuta, al telefono con gli operatori della Mezzaluna rossa, chiamati dalla cugina Layan prima di essere colpita, che cercavano di rassicurare la piccola e che per ore provarono a superare terrificanti ostacoli burocratici per mandare un’ambulanza a salvarla. Non arrivò in tempo: anche il mezzo di soccorso fu attaccato, i due operatori uccisi.
Era il 29 gennaio 2024, dodici giorni dopo, dopo il ritiro dell’esercito israeliano da quella zona di Gaza, fu recuperato quel che restava dei corpi. Una storia che rimbalzò sui social, dove la sentì la regista. Non era sicura fin dall’inizio di usare la voce vera. «Ho sentito che parlava a me, diceva a me salvami salvami, è stata una scelta irrazionale di fronte a un sentimento di impotenza. Volevo onorare la sua voce, è una dei tanti che non ha voce, Gaza non ha voce. Sarebbe stato un tradimento doppiare la sua voce, nessuna attrice avrebbe potuto farlo». Dice di essere stata colpita da «un’ondata travolgente di impotenza e dolore: non intellettuale, ma fisica. Come se il mondo si fosse leggermente spostato dal suo asse, come se la terra mi fosse mancata sotto i piedi. La voce di Hind è diventata qualcosa di più della supplica disperata di un bambino. Sembrava la voce stessa di Gaza, che invocava aiuto nel vuoto, accolta con indifferenza, accolta con silenzio. Era una metafora resa dolorosamente reale: un grido di soccorso che il mondo poteva sentire, ma a cui nessuno sembrava disposto o in grado di rispondere».
Il film è prodotto, tra gli altri da Brad Pitt, Joaquin Phoenix, Rooney Mara, Jonathan Glazer, Alfonso Cuaron. «Mi ha stupito questo loro coinvolgimento massiccio. Sono molto grata, non me lo sarei mai immaginato». Per realizzarlo, racconta Kaouther Ben Hania, ha contattato la Mezzaluna Rossa Palestinese, con la richiesta di ascoltare la registrazione completa. «È stato un atto di fiducia da parte loro. Sono più di settanta minuti, settanta minuti di attesa, di paura, di tentativi di resistere. È stata una delle cose più difficili che abbia mai ascoltato. Poi ho iniziato a parlare con la madre di Hind e con le persone che erano dall’altra parte di quella chiamata, quelle che avevano cercato, contro ogni previsione, di salvarla. Abbiamo parlato per ore. È una storia radicata nella verità, portata avanti dalla memoria e plasmata dalle voci di coloro che erano lì».
L’obiettivo del suo film è semplice: «Che la voce di Hind Rajab venga ascoltata. Il silenzio è complicità». Alla fine del film ha messo l’immagine di bambini che giocano sulla spiaggia. «Quella spiaggia che Trump e altri vogliono trasformare in riviera. Quando ci penso mi chiedo: in che mondo vogliamo vivere?». Il film che sarà distributo in Italia da IWonder, e è stato scelto dalla Tunisia per la corsa all’Oscar straniero, è a cavallo tra documentario e fiction. «Non vedo la linea di separazione tra i generi». Gli operatori sono interpretati da attori. «Ho cercato di trovare la chiave giusta, volevo spingere a trovare i sentimenti di impotenza degli operatori». Racconta di aver parlato a lungo con la madre di Hind. «sono una regista, non faccio inchieste. L’indagine sui fatto è stata realizzata da testate come il Washington post. È in corso una guerra anche contro la verità. Come attivista non voglio che i miei film siano distribuiti in Israele». Su Gal Gadot dice la sua: «Lei sostiene apertamente esercito israeliano, e comunque non si è trattato di un boicottaggio, aveva detto già prima che non sarebbe venuta. Gli israeliani che si schierano contro il regime sono molto coraggiosi, sono in una posizione non facile, è difficile esprimersi da israeliano contro il genocidio»
3 settembre 2025 ( modifica il 3 settembre 2025 | 15:21)
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