Una delle più enigmatiche e affascinanti del panorama culturale contemporaneo, lontana dalle convenzioni della moda e dell’arte. Una vera perla rara. Michèle Lamy è approdata al Festival del Cinema di Venezia, inebriando la Laguna con la sua aura magnetica da “strega”. Sì, uno dei suoi vari soprannomi: la definiscono una “divinità pagana”, talvolta una “vampira”. Termini che vogliono elogiarne potere e unicità. Ma conosciamola meglio.

Le origini di una “divinità”

Nata nel 1944 nel Giura, in Francia, Michèle Lamy proviene da una famiglia di origini algerine. L’impronta artistica con tutta probabilità è un’eredità del nonno, che realizzava accessori per lo stilista Paul Poiret. Ma la vita della Lamy non è sempre stata dedita alla moda.

Dapprima ha studiato legge e filosofia, in un periodo di grande fermento intellettuale e sociale. A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, qui è nato il suo pensiero anticonformista, segnato dalle proteste del Maggio Francese: libertà di pensiero, prima di ogni cosa. E spazio per la musica, la poesia, l’arte.

Una carriera ricca di trasformazioni

Tutto questo ha influito sulla carriera di Michèle Lamy, una vera trasformista potremmo dire. Dopo gli studi in legge ha esercitato come avvocato, ma a un certo punto ha deciso di seguire una strada totalmente diversa, facendo la ballerina nei cabaret e la performer, persino la spogliarellista. Esperienze che ha descritto come un modo per “sfuggire alla mia ricca educazione di provincia”.

Un’ulteriore svolta è arrivata nel 1979, quando ha deciso di trasferirsi a Los Angeles, diventando in breve una delle figure più emblematiche del mondo notturno underground della “città degli angeli”. Sempre qui negli anni Novanta ha aperto Les Deux Cafés, ristorante-cabaret diventato un vero e proprio luogo di culto per l’élite artistica e creativa della città.

Michèle non ha mai perso questa vocazione, neanche quando ha creato con Rick Owens un impero della moda che ormai è leggenda. La creatività non può avere un canale esclusivo e il suo approccio è volto all’interazione, alla collaborazione vera, intesa proprio come unione di arti e di intenti. Non a caso Lamy si è prodigata in progetti in cui musica, arti visive e attivismo si fondono. Tra le varie, è la frontwoman della band concettuale LAVASCAR  ha lavorato con il rapper A$AP Rocky, che l’ha definita una “mentore” che lo ha guidato nel mondo dell’arte, riconoscendo il suo ruolo fondamentale “dietro le quinte” della sua carriera.

La relazione con Rick Owens

Los Angeles è stata la città che l’ha accolta, che le ha permesso di esprimere il meglio di sé, di diventare una figura di spicco. Ma anche di trovare il grande amore. Qui ha conosciuto Rick Owens quando, giovanissimo, decise di assumerlo come modellista per la sua linea di abbigliamento Lamy.

L’incontro di due anime affini, dal quale non è nata solo una lunga relazione sentimentale, ma anche una partnership tra le più folgoranti e influenti nel mondo della moda contemporanea, e non solo. Rick Owens, uno dei designer e creativi più importanti e discussi di sempre, insieme alla sua Michèle – che è ben più di una semplice “musa” – ha dato vita a Owenscorp, l’impero della moda e dell’arte che è piena espressione del loro sodalizio, dove lei ricopre la posizione di Executive Manager Art/Furniture e produce i mobili che portano il marchio di Rick Owens, lavorando su materiali brutalisti come alabastro e legno pietrificato.

Dal 2003 la coppia vive a Parigi in una villa a cinque piani, mentre il matrimonio è stato celebrato nel 2006.

Lo stile unico di Michèle Lamy, anche a Venezia

L’artista Julien Sitruk l’ha ritratta come una “sciamana di rituali che si manifestano in forme e formule di nuova, conturbante eleganza”, mentre il rapper A$AP Rocky l’ha definita “una creatura mitologica”, la “dark queen of fashion“. E, in effetti, queste definizioni le calzano a pennello, nonostante sia praticamente impossibile imbrigliarla in categorie o convenzioni di sorta.

Michèle Lamy ha un’estetica molto particolare, che ha fatto di alcuni elementi – le dita tatuate di ispirazione berbera, i denti placcati in oro – dei veri e propri marchi distintivi. Elementi a cui si aggiunge, ad esempio, una riga scura sulla fronte, che ricorda il Nemes utilizzato nell’Antico Egitto.

Ma l’impatto più deciso proviene anche dal suo abbigliamento, volutamente brutalista, che si nutre di tessuti grezzi e volumi scultorei. E lo abbiamo visto, in ultimo, al suo arrivo al Festival del Cinema di Venezia, quando ha sfoggiato un gilet in pelle con spalline giganti ed effetto pitonato, dalle vibes rock, abbinato a un abito mini e semi-trasparente e boots con plateau.