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Chiara Maffioletti, inviata a Venezia
Il regista ha presentato «In the Hand of Dante» in cui Oscar Isaac interpreta sia il grande poeta che Nick Tasches: «L’arte ci consegna un eterno presente»
Come prevedibile, la prima domanda a Julian Schnabel durante la conferenza stampa di presentazione del suo film In the Hand of Dante, è stata su due dei suoi protagonisti, Gal Gadot e Gerald Butler, gli assenti più evocati di questa Mostra del Cinema. Giusto boicottarli dopo il loro appoggio a Israele? Il regista non ha avuto dubbi e, con poche parole, ha ribadito il suo pensiero: «Non c’è ragione per boicottare gli artisti. Io ho scelto Gal Gadot e Gerard Butler per il loro talento artistico e hanno fatto un lavoro eccezionale. Dopodiché penso che dovremmo parlare del film piuttosto che di queste tematiche». Schnabel sapeva che oggi avrebbe dovuto tornare lì dove non avrebbe voluto. Inevitabile, dopo che la protesta dei Pro-Pal ha animato tutte le giornate della Mostra, inaugurata proprio con la petizione lanciata da Venice4Palestine, in cui 1500 artisti hanno condannato Netanyahu, chiedendo poi proprio di escludere i due attori dal festival. C’è stato poi, nel corso dei giorni, qualche distinguo, ma il tema dell’arte e dell’opportunità della censura è stato il filo rosso di questi giorni. Schnabel — camicia smanicata e Panama beige in testa — è stato abile nel circoscrivere la polemica, preferendo concentrarsi nel racconto di un film che fa parte della sua vita da 15 anni: «Fu Johnny Deep a propormi cinque libri, dicendomi di sviluppare un film da uno di questi. Scelsi quello di Nick Tosches, che era il più impossibile».
Schnabel immagina che lo scrittore americano sia una sorta di nuovo Dante e porta sullo schermo entrambi i personaggi — interpretati da Oscar Isaac — nel reciproco viaggio alla scoperta del significato dell’arte e, quindi, della vita. «Julian è un visionario e un artista senza precedenti — commenta l’attore —. Mi sono preparato molto per questo ruolo: avevo con me tre diverse edizioni della Divina Commedia, più una in italiano. Eppure la cosa più bella era che alla fine di ogni giorno sul set, Julian mi chiamava per parlare di quello che avevamo fatto. Non mi era mai successo con altri registi e mi ha fatto sentire parte del processo creativo». «Questo film è una commedia tragica, un po’ come è anche la vita. Il desiderio, attraverso l’arte, è arrivare a un presente eterno, come quello in cui ci proietta Caravaggio con i suoi quadri. Stringevo tra le braccia Lou Reed quando stava morendo, e in quel momento gli dissi: ora stai diventando tu il poema. Il punto è che tutti moriremo, ma quello che resta è ciò che fissiamo attraverso l’arte. È il nostro solo modo di reagire».
Nel cast, mastodontico, ha una parte anche Martin Scorsese: «Lui ha da sempre sostenuto la mia carriera, per questo voleva partecipare al progetto e in quel ruolo non potevano esserci altri se non lui». Il punto, secondo il regista, è cercare di andare oltre i confini prestabiliti: «E’ come quando dipingo e smetto di pensare, lo stesso accade con la scrittura del film e anche mentre lo giriamo, perché la sceneggiatura è stata per tutti noi la base da cui abbiamo creato qualcosa di nuovo, ogni giorno. Confrontandoci. Quello che conta è il processo creativo. Del resto, anche come pittore vedo oltre la cornice. E allo stesso modo di quello che accade con la pittura, non ho fatto questo film per vendere, ma per metterci dentro qualcosa di bello. Questo è ciò che rende questo lavoro liberatorio».
3 settembre 2025 ( modifica il 3 settembre 2025 | 16:15)
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