di
Paolo Mereghetti

Convincono i due film in gara: la tunisina Kaouther Ben Hania e l’italiano Pietro Marcello

Fin dal titolo, The Voice of Hind Rajab (La voce di Hind Rajab), capiamo che siamo davanti a qualcosa di reale. A una «voce» che ha un nome, quello di una bambina di 5 anni, che per alcune ore, il 29 gennaio 2024, tenne inchiodata al telefono i membri della Mezzaluna Rossa palestinese (l’equivalente della Croce Rossa) chiedendo di essere salvata. Il film della regista tunisina Kaouther Ben Hania ricostruisce quelle drammatiche ore usando le registrazioni autentiche delle richieste di aiuto di Hind, ma senza cercare di «imbrogliare» lo spettatore: le registrazioni hanno una loro precisa forma visiva, quella di una linea chiara che registra gli impulsi della voce su un fondo nero. 

Le immagini «tradizionali» servono per mostrare i membri dell’unità di soccorso, tutti interpretati da attori, che danno vita sullo schermo a quello che è successo in quelle ore: prima lo shock per la situazione che scoprivano (una bambina sopravvissuta in un’auto tra sei persone uccise), poi il tentativo di capire come aiutarla, le telefonate per trovare il via libera dall’esercito israeliano che stava bombardando la zona, le lungaggini burocratiche, le rabbie di chi non vorrebbe aspettare, gli sforzi per rassicurare la bambina. La regista non vuole nascondere la differenza tra quello che è vero e quello che è finto, evita le tirate retoriche affidando la lettura «politica» alle ultime immagini, quelle della macchina crivellata da 335 spari e quello dell’ambulanza, polverizzata a pochi metri dalla bambina nonostante il via libera ottenuto. E affida ogni riflessione alla disperazione di chi si sente impotente di fronte alla crudeltà di chi impedisce di portare aiuto.



















































Meriterebbe di essere vista in piedi questa Eleonora Duse interpretata da Valeria Bruni Tedeschi, una standing ovation per una prova superlativa, che non insegue rassomiglianze o imitazioni (nemmeno le lenti per annerirle gli occhi) ma lascia che lo schermo si riempia di energia ed emozioni. Duse di Pietro Marcello non vuole essere una biografia ma usa gli ultimi anni della diva (prima della sua partenza per gli States dove morirà) per affrontare i grandi temi che l’hanno resa eterna: la forza dell’Arte capace di piegare ai propri voleri anche la Vita e le tentazioni della Politica di impossessarsi della sua Vita. 

Da una parte il fuoco di chi si sente vivere solo recitando, quasi senza preoccuparsi di quello che porta in scena — l’episodio con Sarah Bernhard (Noémie Lvovsky) è una specie di voluta antifrasi: importa la forza del teatro non se è «vecchio» o «nuovo». E la lezione alla giovane attrice ci fa capire anche perché, pur amando la figlia Enrichetta (Noémie Merlant), prima viene il bisogno di recitare, che nemmeno la tisi riesce a fermare. E se deve chiedere un favore a D’Annunzio (Fausto Russo Alesi) o inchinarsi a Mussolini lei sa benissimo che lo fa per un valore più alto, la sua Arte, che la Politica non potrà sporcare. Marcello (che ha sceneggiato con Letizia Russo e Guido Silei) la fa vedere spesso in viaggio, come se volesse scappare da chi vuole curarla, decisa a seguire fino in fondo il suo destino, a cui Valeria Bruni Tedeschi regala la sua prova più grande.

3 settembre 2025