Il colosso evita la divisione ma deve affrontare nuove restrizioni: l’avvento dell’intelligenza artificiale ha cambiato il mercato
Che Google sia «monopolista» nelle ricerche online è ancora valido, come aveva dichiarato una sentenza dell’Antitrust americano del 6 agosto 2024. Che le ricerche online, i motori di ricerca, siano ancora il primo e più importante metodo per accedere alle informazioni forse non più: ora c’è un’alternativa, l’intelligenza artificiale generativa. Sta di fatto che il giudice distrettuale Amit Mehta, che in questo anno doveva decidere come sanzionare il colosso per il suo abuso di posizione dominante, ha scelto forse la via più accomodante. E respinto la richiesta più dura del Dipartimento di Giustizia di vendere Chrome e i prodotti legati ad Android. Il browser e il sistema operativo resteranno interamente nelle mani di Google. Il colosso tecnologico dovrà tuttavia condividere alcuni dei suoi dati di ricerca con i concorrenti, una sanzione comunque molto più limitata rispetto a quanto richiesto dal governo. Tra i dati che dovranno essere condivisi ci sono parti dell’indice di ricerca che Google crea durante la scansione del web e alcune informazioni sulle interazioni degli utenti. Se il giudice Mehta avesse scelto la sanzione consigliata dal Dipartimento di Giustizia, avrebbe rappresentato la più grande misura antitrust della storia moderna, un caso che ha suscitato paragoni con la storica divisione di AT&T nel 1984 e il fallito tentativo del governo di spaccare in due Microsoft nei primi anni 2000.
Si parlava di «spezzatino», di smembramento di un impero il cui potere si concentra sul motore di ricerca più usato al mondo – attraverso Google passa il 90 per cento delle ricerche online – ma che può contare anche sul browser più usato al mondo, Chrome (lo sceglie il 65 per cento degli utenti) e dal sistema operativo montato sul 70 per cento degli smartphone.
L’impero si mantiene e si alimenta non perché offre un servizio migliore, ma grazie a pratiche scorrette e accordi economici stretti per mantenere quello che è a tutti gli effetti un monopolio. I «cospiratori» in questo caso sono Apple, Samsung e tutti quei colossi del settore che accettano pagamenti a nove zeri ogni anno per inserire sui loro dispositivi il motore di ricerca di Google come opzione predefinita. Durante il processo era emerso come Mountain View versi un totale di 26 miliardi di dollari l’anno per mantenere attivi questi contratti, di cui 18 andrebbero alla sola Apple. Nel documento di 223 pagine, il giudice ha imposto forti restrizione su questi accordi esclusivi che permettono al motore di ricerca di essere il primo e più importante strumento per le ricerche online. E lo stesso vale per gli altri suoi servizi, Chrome e l’intelligenza artificiale Gemini. Ma non li ha interamente vietati. Il business di Google, comunque, per ora è salvo. Così come lo sono questi accordi. Anche se il mercato sta inevitabilmente cambiando. Anche il suo miglior partner, Apple, starebbe studiando nuove funzioni di ricerca da inserire sul suo browser Safari sfruttando l’intelligenza artificiale generativa, rivela Reuters.
Ed è proprio l’avvento dell’intelligenza artificiale generativa ad aver cambiato le carte in gioco e forse anche la decisione del giudice Metha. La stessa Google, commentando la sentenza, ha affermato che «La decisione odierna riconosce quanto il settore sia cambiato con l’avvento dell’intelligenza artificiale, che offre alle persone molti più modi per trovare informazioni». Per Google, in ogni caso, la decisione dell’antitrust rappresenta una vittoria. E anche una frenata ai suoi principali concorrenti nella corsa all’intelligenza artificiale generativa: tra i potenziali acquirenti del suo browser Chrome c’erano infatti anche OpenAI e Perplexity.
Le indagini dell’antitrust non si fermano qui. La stessa Google dovrà affrontare un altro processo a settembre su un altro monopolio illegale, quello nel mercato sulla pubblicità digitale da quasi 300 milioni di dollari. Ma anche le altre Big Tech sono sotto osservazione. Nei prossimi mesi e anni dovranno passare per un processo anche Apple, Amazon e Meta.
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3 settembre 2025 ( modifica il 3 settembre 2025 | 17:20)
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