L’ex presidente di Coni e Figc: “Giusto togliere due scudetti alla Juve, ma quello all’Inter non andava riassegnato. Ora ho 85 anni e capisco chi quando mi sente nominare esclama ‘Ma davvero è ancora vivo quello lì'”
Giornalista
4 settembre – 08:26 – MILANO
La Sala delle Fiaccole, al primo piano del palazzo del Coni, è perfetta per quest’intervista. Piena di storia e di sport, come la vita di Franco Carraro. Ci avviciniamo alla (sobrissima) torcia di Mosca 1980, l’Olimpiade degli ori di Mennea e Simeoni ma anche quella del boicottaggio. Carraro era da due anni presidente del Coni: “Il governo ci aveva invitato a non andare, se avessi acconsentito senza far valere l’autonomia dello sport mi sarei dovuto dimettere il giorno stesso. Chiunque altro si sarebbe comportato come me, credo”.
Però il suo amico Craxi non le parlò per un paio d’anni.
“Un anno e mezzo. Aveva un cattivo carattere… Subiva la pressione di Helmut Schmidt: la Germania, a cui l’America aveva rinfacciato di non essere del tutto libera visto che la loro Costituzione era stata scritta dagli Stati Uniti, aveva deciso di non andare e una volta capito che i paesi europei avrebbero partecipato il cancelliere, socialista, aveva chiesto aiuto agli amici. Quindi a Craxi. Dissi di no anche a lui e non la prese bene. Ma come potevo dire agli atleti “non si va ai Giochi” se l’Italia continuava a costruire macchine a Togliattigrad? Pagava solo lo sport, mi sembrava molto ipocrita. Mi trovai contro tutti i miei amici, quelli con cui più condividevo l’idea politica, quelli che, peraltro, 9 anni e mezzo dopo mi designarono a sindaco di Roma. Ricordate il Caf? Craxi-Andreotti-Forlani… Loro”.
La risposta dello sport fu 8 ori, 3 argenti e 4 bronzi.
“E sarebbero stati di più con gli atleti dei gruppi sportivi militari. È stato doloroso lasciarli a casa, ma come Coni non potevamo fare nulla. Pensate che c’era stata anche l’idea di eliminarli: il ministro degli interni Rognoni dopo l’assassinio di Moro voleva che tutte le forze di militari fossero sul territorio, c’era il terrorismo, avevamo un 1-2 morti a settimana, ma quell’intervento ci avrebbe messo in braghe di tela. Appena eletto presidente del Coni andai da lui con Pescante, lo convincemmo ricordando che la Polizia in quegli anni non aveva il sostegno di gran parte dell’opinione pubblica e che le medaglie avrebbero dato popolarità e consenso. Rognoni, che era appassionato di sport e aveva praticato atletica leggera, comprese bene il messaggio. Sapete, all’epoca certe cose, polizia, tricolore e nazionalismo, non erano benviste da tutti. Pertini prima e Ciampi poi cambiarono un po’ le cose, anche attraverso lo sport. L’immagine in mondovisione di questo vecchio signore che al Mondale ’82 si agita in tribuna come un tifoso di curva ha unito gli italiani. Ciampi poi ha insegnato al Paese a cantare l’inno, tanto che l’ultima volta in cui sono stato eletto presidente della Figc, nel 2001, nel mio discorso di insediamento dissi: “Spero che i giocatori cantino l’inno nazionale”. Voi giornalisti avete passato mesi a indagare su chi l’avrebbe fatto, come se avessi chiesto chissà quale stravaganza…”.
Che sensazione si prova ad aver vissuto da vicino tanti momenti che hanno segnato il nostro Paese e non solo?
“Io ho avuto fortuna, sono un privilegiato perché ho avuto due genitori straordinari che mi hanno fatto imparare il francese e l’inglese, mi hanno educato in modo appropriato. Non siamo mai stati ricchi, ma agiati sì e rispetto ad altri ai nastri di partenza partivo un po’ più avanti. Anche per questo penso di essere in debito con la vita, molto in debito. Il futuro? Ci penso rispetto a mia nipote, non per me. Io come tutti spero di morire sano. Un vecchio direttore della Gazzetta, Gualtiero Zanetti, mi diceva sempre: “Tu vivi da malato per morire da sano”. Era vero! Perché io, senza alcun merito, amo bere solo acqua, liscia, non ho particolare passione per il cibo e non ho mai fumato. Quando sei giovane inizi a giocare con le sigarette per darti un tono con le ragazze, io a 16 anni ero campione europeo di sci nautico, diciamo che non mi serviva…”.
Del suo passato di atleta si è sempre parlato poco.
“Non ho continuato a lungo, avrei dovuto rinunciare al divertimento e non volevo. Poi al Mondiale di Long Beach in California mi rubarono lo sci. Era particolare, lo avevamo studiato per diverso tempo, sono stato stupido a lasciarlo nel deposito… Arrivai settimo”.
“Beh sì, ma molto spesso se ti arrabbi fai due fatiche… Io sono uno che per le cose serie non perde mai il controllo, mentre per le sciocchezze si innervosisce: se vado al ristorante e mi fanno aspettare troppo mi imbizzarrisco, ma quando da sindaco di Roma mi arrestarono sei assessori o quando il giudice Castellucci, poi condannato dal Tribunale di Perugia, mi voleva arrestare ho sempre dormito tranquillo”.
Dormiva bene anche durante Calciopoli?
“No, mi faceva male l’idea che la gente mettesse in dubbio la mia onestà, forse anche alla luce delle mie dimissioni da presidente federale nate per consentire senza imbarazzi l’avvio del campionato successivo. È un pensiero che mi fa soffrire ancora oggi, nonostante sia stato assolto da tutto. Ma c’è anche altro: mi resta l’amarezza di aver capito che tutto è nato da un mio grande errore politico. Nel 2004 pensai che Bergamo e Pairetto non potessero più essere designatori arbitrali, non perché avessero fatto male, ma perché certe posizioni ogni tanto per me vanno cambiate. Chiamai Collina che avrebbe smesso l’anno dopo offrendogli quel ruolo, ci pensò qualche giorno e mi disse di no, voleva continuare ad arbitrare. Non feci più nulla. Anni dopo, in una trasmissione televisiva di History Channel dedicata a Calciopoli, scoprii che Collina l’aveva detto a Meani (all’epoca addetto agli arbitri del Milan, ndr), Meani lo aveva riferito ai confermati Bergamo e Pairetto che in quel momento hanno pensato di sopravvivere appoggiandosi a Moggi. Ho sbagliato, avrei dovuto cambiarli comunque. Però ho una giustificazione”.
“Nel 2004 avevamo avuto due problemi serissimi e drammatici: il primo la brutta eliminazione dell’Europeo, quello del biscotto, anche se la verità è che abbiamo giocato male; il secondo il Napoli che rischiava di sparire. Ai Giochi di Atene arrivò il presidente Ciampi e volle parlare con l’allora numero uno del Coni Petrucci e con me del caso Napoli: cercava spiegazioni. Non trovavamo nessuno che lo prendesse, era un dramma! Poi arrivò De Laurentiis… Confesso che da allora dopo il Milan tifo Napoli”.
“È un bene che ci sia stata un’indagine e che siano stati punite le squadre responsabili. Gli scudetti andavano tolti alla Juve perché i suoi dirigenti avevano fatto degli errori, ma quello all’Inter del 2006 non andava riassegnato. Dovevano rimanere entrambi non assegnati come nella tradizione della Federcalcio”.
Quell’anno vincemmo il Mondiale.
“E qualcuno scrisse che ci eravamo riusciti malgrado l’avversità di Blatter, tanto che non ci consegnò la Coppa. Pensare che uno vinca il Mondiale avendo il presidente della Fifa contro mi sembra una cosa difficile. La verità è che la qualità dei giocatori va anche accompagnata da una politica sportiva fatta nel modo giusto e io avevo messo nella commissione arbitri dell’Uefa Pairetto e in quella Fifa Bergamo. C’è un proverbio che dice aiutati che Dio ti aiuta”.
A proposito, al Mondiale in Corea e Giappone che cosa è successo?
“È successo che abbiamo sbagliato tutto. Trapattoni non era un allenatore da dentro o fuori e noi avevamo scelto un ritiro troppo isolato. Me ne prendo la colpa, da presidente federale. Byron Moreno? Era sicuramente casalingo, la corruzione in Corea del Sud ci dicevano fosse molto diffusa e lui poi ha avuto i suoi problemi. Detto questo, se Vieri a un minuto dalla fine mette dentro la palla della vittoria non ci ricorderemmo neanche il nome dell’arbitro”.
Parliamo del presente della Nazionale?
“Non voglio nemmeno pensare a un’altra mancata qualificazione. Ce la faremo. Gattuso? Me lo ricordo in azzurro da giocatore, andavo spesso a vedere gli allenamenti: è uno che dava del lei al pallone e non del tu, ma si impegnava sempre al 110%. Il problema per me non è tanto l’attaccamento alla maglia, quanto il fatto è che ormai tutto il calcio è strutturato contro le nazionali, giocano sempre e in quei pochi giorni bisogna creare un’alchimia che non so dire per quali ragioni scatti o meno. All’Europeo del 2021 c’era e in quel caso potrebbe avere un nome: Gianluca Vialli. Su di lui devo rivelarvi una cosa”.
“Ho un’opinione straordinaria di Vialli e gli sono grato perché, al contrario di altri, ha mantenuto il massimo riserbo su un nostro incontro dell’ottobre 2002: dopo l’infausto Mondiale in Corea e Giappone, il Trap era partito malissimo nelle qualificazioni per l’Europeo in Portogallo. Parlando con Giraudo venne fuori che Vialli sarebbe stato disponibile ad allenare la Nazionale. Andai a incontrarlo a Torino, purtroppo non c’erano le condizioni. Nessuno lo ha mai saputo, è stato un uomo vero”.
Parliamo un attimo del suo Milan?
“Allegri è un bravo allenatore, conosce bene lo spirito del Milan e Tare alla Lazio ha dimostrato di saperci fare. Personalmente sarei molto felice se tornasse anche Galliani, uno che del calcio e di questo club sa tutto. Scaroni è una persona di grande qualità, ma Galliani fa parte della storia della società e al Monza ha dimostrato di essere sul pezzo, per i tifosi sarebbe una sferzata di entusiasmo straordinaria”.
Che cosa c’era dietro alla sua recente candidatura alla presidenza del Coni?
“Adesso posso dirlo con molta trasparenza. Pescante, Petrucci, Gravina e io eravamo molto preoccupati del fatto che ci fossero due squadre opposte e completamente diverse dalla precedente. Era stato ingiusto non consentire a Malagò di proseguire, quindi ritenevamo opportuno mantenere Mornati come segretario generale. Ho capito che per sperare di garantire la continuità amministrativa dell’ente mi sarei dovuto candidare e l’ho fatto. La nostra moral suasion non sarebbe bastata… Un paio di giorni prima del voto in una conference call Gravina, Petrucci e io abbiamo espresso a Malagò e all’attuale presidente Buonfiglio la nostra posizione, sottolineando pure che a livello giuridico il segretario deve essere un interno Coni: garantivamo il nostro appoggio elettorale chiedendo continuità. Mi sembra che le cose siano andate e vadano bene. Quanto a me, ho sempre saputo che fine avrebbe fatto la mia candidatura, ma non potevo dirlo a nessuno. Anche per questo finora non ho fatto interviste”.
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“Ma no, io mi rendo perfettamente conto… Sono stato precoce, presidente della federazione sci nautico a 22 anni, presidente del Milan a 27, ho occupato molti spazi ma ho sempre cercato di fare il mio. Che mi critichino e mi giudichino sul passato è legittimo. Ora ho 85 anni e capisco chi quando mi sente nominare esclama: “Ma davvero è ancora vivo quello lì?””.
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