“L’arte può salvarci”, la si sente dire davanti ai soldati al fronte, a quei feriti nel fisico e nell’anima, sottolineando ancora quanto “l’arte” (sempre quella) si fa come la guerra, col sangue, con il sudore, coraggio e anche un po’ di disciplina”. Dunque, il teatro della vita, si intreccia qui con quello del fronte e della vita, anche più feroce e rassegnato.

Duse eroica, capace di non piegarsi al tempo e ritrovarsi

Dopo 12 anni la Duse tornò sul palcoscenico, visse la sua seconda vita come un’urgenza, una sorta di desiderio nel rivendicare la propria natura, libera, lottano contro un mondo, intorno a sé, in totale mutazione e stravolgimento. Il lavoro di un’intera esistenza d’attrice, diventa l’arma inesorabile contro chi non le crede, la usa, contro la prepotenza di un sistema brutale votato a piegarla, e nel quale lei risponde a colpi di parola e gesti. Atti, a tutti gli effetti, rivoluzionari. Non si piega, anche quando la salute inizia ad abbandonarla, “lo spettacolo deve andare avanti”, ed è
così che nel teatro ritrova la sua linfa, il luogo dove poter voce ad un ultimo viaggio, fatto di verità e resistenza.

CLAUDIOIANNONE

Un personaggio in rivolta

«Sono sempre stato affascinato dai personaggi in rivolta, racconta il regista, Pietro Marcello. Ed è così che ci siamo imbarcati in questa storia, ma fin dall’inizio ho pensato a Valeria Bruni Tedeschi. Qui volevamo raccontare lo spirito della Duse, gli anni della dissoluzione, un personaggio ottocentesco, che per si affaccia sul secolo breve, il ‘900, il tempo dell’ignavia, in cui niente è vero e tutto è permesso. Il fascismo ha provato ad appropriarsi della Duse, anche perché il potere è sempre attratto dagli artisti, esseri fragili, umani, ma lei viaggiava sopra le vicissitudini dell’Italia».

La funzione dell’arte

«L’arte», continua Marcello, «è potente quando viene realizzata attraverso la bellezza dell’anima. Ora è il momento della disobbedienza civile per sapere dove andiamo, cosa facciamo, in fondo siamo tutti soggetti all’industria culturale, però non c’è niente di male nel tornare a mangiare pane e cipolle per fare il cinema, e dal basso. In questa fase di autocritica, in cui amo fare cinema, del resto mi interessa ben poco. Sono un libertario e per la disobbedienza civile totale: quello che mi affascina ed emoziona è, ad esempio, vedere, i Decamalli genovesi (gli scaricatori delle merci dalle navi, ndr) pronti a bloccare il porto di Genova. Un gesto così rivoluzionario e politico che forse ho letto solo nei libri».