di
Francesco Verderami

Il dem chiede prudenza e ipotizza il rinvio del voto sulla riforma

Al Senato Dario Franceschini non ha parlato al governo, si è rivolto ai magistrati. È raro che l’ex ministro della Cultura intervenga in Aula, ma c’è un motivo se l’ha ritenuto necessario. Proprio mentre le Camere votavano la separazione delle carriere, il Pd era finito al centro di un’attenzione particolare da parte delle procure di mezza Italia. Se non c’è stata casualità nella sua decisione, è perché Franceschini non ha ritenuto casuale quell’attivismo giudiziario. Che a suo parere non è frutto di «un’unica regia», ma è dettato da una serie di «singoli segnali» che «separatamente e in modo autonomo» trasmettono «lo stesso messaggio»: un appello a far fronte comune contro la riforma costituzionale scritta dal governo, una richiesta di solidarietà non formale che si esaurisca nel semplice dissenso in Parlamento. Insomma, una sorta di prova d’amore.

Così il dirigente dem ha chiesto la parola per dire alle toghe di aver colto il loro messaggio e contemporaneamente per invitarle a cogliere il suo. L’ha fatto con un lessico d’altri tempi, privo di enfasi e retorica. Un linguaggio criptato a cui le Camere da moltissimi anni ormai non sono più abituate. D’altronde era quello che voleva il «giovane Trotsky», soprannome con cui Franceschini veniva additato quando militava nella Dc, dove faceva il rivoluzionario e intanto apprendeva il lessico iniziatico del potere. Che è lo strumento per le comunicazioni riservate. Per questo è riuscito a rivolgersi riservatamente ai magistrati attraverso un discorso pubblico.



















































Li ha rassicurati e garantiti sul punto cruciale della riforma che mira a colpire il potere delle toghe e che non è la separazione delle carriere. L’ex ministro infatti ha attaccato il meccanismo del sorteggio scelto dal governo per selezionare i componenti del Csm, «che potrebbe portare all’anarchia». E poi ha difeso il controverso sistema delle correnti interne alla magistratura, che a suo giudizio invece «svolgono un’opera di mediazione e di bilanciamento».

Ma la prova d’amore è arrivata quando ha anticipato che la battaglia referendaria sarà «tutta politica». «Non ci metteremo a contestare i singoli aspetti della riforma. E dovremo evitare i tecnicismi», aveva anticipato Franceschini ai compagni di partito: «Dovremo dire che bisogna fermare le pericolose tentazioni autoritarie della destra». «Sarà un referendum pro o contro Meloni», avrebbe spiegato più tardi in Aula. «E loro perderanno». Seguendo un destino che ha accomunato quanti in passato hanno varato riforme costituzionali a maggioranza, bocciate poi dagli elettori.

Questo sarebbe «il miglior viatico» per una successiva vittoria del centrosinistra alle Politiche, con la garanzia di poter scegliere «ancora una volta» il capo dello Stato. Franceschini è convinto di aver «aperto una breccia» dopo il suo intervento al Senato. E soprattutto di aver suscitato timori e perplessità nello schieramento avverso. Ne ha parlato con un alto magistrato, al quale ha confidato che «la presidente del Consiglio starebbe meditando di rallentare l’iter della riforma in Parlamento, per evitare che il referendum si tenga prima delle elezioni e fare in modo che si svolga dopo il voto».

Non è dato sapere da chi l’ex ministro abbia raccolto questa indiscrezione. O se si sia trattato di un wishfull thinking, sfruttato per rassicurare il suo interlocutore. Di certo c’è che con il discorso in Parlamento è riuscito a far sapere alle toghe di aver colto il loro messaggio. E di aver trasmesso anche il suo. Perché Franceschini coglie un rischio in certe azioni giudiziarie, «con le quali i magistrati rimarcano la forza del loro potere». Alcune inchieste potrebbero infatti «compromettere il risultato della battaglia» contro la riforma del governo.

L’esercizio della giurisdizione è delicato e una gestione che possa risultare fuori misura finirebbe per «fornire munizioni ideologiche e politiche ai sostenitori» della legge sulla separazione delle carriere, fino a «giustificare» la sua necessità agli occhi dell’opinione pubblica. È questo il passaggio più importante del messaggio alle toghe: sta nel «fermatevi» con il quale Franceschini si schiera dalla parte della magistratura ma consigliandole prudenza. Lo fa con l’abilità di un politico consumato, e come tale pronto a smentire perché non può consentire che emerga ciò che davvero pensa. E riservatamente dice.

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25 luglio 2025