di
Paola Pollo

Giorgio Armani, stilista e protagonista assoluto del mondo della moda, è morto oggi: con lui la famiglia e Leo Dell’Orco, il compagno degli ultimi 20 anni. Per decenni ha contribuito a dare forma a uno stile inconfondibile, lavorando fino all’ultimo

Giorgio Armani è morto oggi, giovedì 4 settembre. Aveva 91 anni. A confermarlo è stato il comunicato del suo gruppo: «Con infinito cordoglio, il gruppo Armani annuncia la scomparsa del suo ideatore, fondatore e instancabile motore. Il signor Armani, come è sempre stato chiamato con rispetto e ammirazione da dipendenti e collaboratori, si è spento serenamente, circondato dai suoi cari. Infaticabile, ha lavorato fino agli ultimi giorni». La camera ardente sarà allestita a partire da sabato 6 settembre e sarà visitabile fino a domenica 7 settembre, dalle ore 9 alle ore 18, a Milano, in via Bergognone 59, presso l’Armani/Teatro. Per espressa volontà del signor Armani, i funerali si svolgeranno in forma privata.Questo il suo ritratto, firmato da Paola Pollo.

A credere che il tempo non sarebbe passato mai ce lo ha insegnato lui, Giorgio Armani. Lo stilista è morto oggi, all’età di 91 anni (li aveva compiuti lo scorso 11 luglio). Con lui la famiglia e Leo Dell’Orco, il compagno degli ultimi vent’anni. 



















































La notizia ha sorpreso tutti, perché – come ci aveva abituato – Armani ha lavorato fino all’ultimo: è di pochi giorni fa il comunicato con cui ufficializzava di avere acquisito «La Capannina», con un gesto che definiva «affettivo, un ritorno alle origini». Proprio lì, negli anni Sessanta, aveva conosciuto Sergio Galeotti, divenuto poi suo compagno di vita e di lavoro. Non solo. Qualche giorno fa aveva voluto controllare e approvare tutti i look della collezione dei 50 anni, quella che sfilerà nella prossima fashion week, a settembre.

Alcune settimane fa, poco prima del 91esimo compleanno, una infezione polmonare lo aveva costretto a un ricovero e a una convalescenza nella sua casa in via Borgonuovo, a Milano, spingendolo a non presenziare – un caso rarissimo – alla sfilata della sua collezione di giugno. Già lo scorso anno aveva avuto un problema, poi risolto: e alle sfilate di giugno 2024, tre giorni dopo le dimissioni dall’ospedale, aveva voluto salutare i suoi ospiti dopo gli show. Lo scorso giugno, invece, la scelta di non partecipare alla sfilata: «Ma sto bene» aveva aggiunto. Erano seguite settimane serene: il compleanno, con i mille e mille auguri da parte di tutto il mondo della moda, e non solo; la scelta di acquistare la Capannina; e soprattutto il suo amato lavoro sugli abiti. 

L’estate, per Armani, era trascorsa tranquilla, nella casa di Forte dei Marmi, con la sua famiglia. E preoccupandosi ogni giorno del lavoro e degli amici, insistendo perché comunque andassero al posto suo nella villa di Pantelleria, dove di solito trascorreva l’estate, e lo aggiornassero continuamente sul loro soggiorno e sull’isola. Solo qualche giorno fa un lieve peggioramento per un malessere improvviso allo stomaco. Ma nulla che facesse presagire il peggio. Aveva ripreso a mangiare e a telefonare per essere aggiornato su tutto.

Oggi, invece, la notizia della sua morte.

Era nato a Piacenza l’11 luglio del 1934. Terzo figlio di tre. Il più piccolo, il più bello, il più coccolato da una madre, Maria, che gli trasmise tutta la classe e il gusto sofisticato nello stile. Dopo la guerra il trasferimento a Milano. Non facile ma più che dignitoso. Il liceo e già subito il trasporto a fare qualcosa per gli altri. «Ad occuparmi dei corpi», raccontava lui, pensando dopo a quel che gli frullava nella testa allora. Scelse per questo medicina. Una strada solo in apparenza lontana da quella che avrebbe deciso di prendere dopo: perché l’anatomia è una scienza che ritornerà potente, nel lavoro di Armani. La sua conoscenza lo porterà a capire più degli altri cosa sarebbe stato perfetto per vestire i corpi – quelli «reali», come sottolineava sempre lui.

Era il 1953, tre anni di università: poi la decisione di partire per il militare, e un ritorno – che gli sta stretto – nelle aule della Statale. Di qui la scelta di andare a lavorare alla Rinascente. Era il 1957. La moda, nella famiglia Armani, era entrata con sua sorella Rosanna, modella. Lui, Giorgio, comincia dalle vetrine. Qualche anno ancora, e Nino Cerruti – passando di lì – si accorse che quegli allestimenti su corso Vittorio Emanuele erano di un sofisticato senza precedenti. Era il 1964. Conoscere quel giovane, a questo punto, un trentenne Giorgio Armani, e affidargli una linea di abbigliamento delle sue fu tutt’uno. La strada era presa. 

La moda divenne la vita di quest’uomo bellissimo, che l’anno prima aveva conosciuto Sergio Galeotti, un giovane intraprendente come lui: la coppia fu tratta. C’era il manager e c’era il creativo.

Era il 1975 e nacque la Giorgio Armani. Prima «invenzione»? Storica: il termine «stilista». Copyright accertato: «Io non sono né un couturier né un sarto ma mi sentito uno che crea uno stile, uno stilista», disse. E fu. 

La strada? Un successo dopo l’altro perché, per prima cosa, Armani capì che gli uomini e le donne «non erano più quello di una volta». Non era un luogo comune, ma la realtà: vite e corpi (rieccoci) erano cambiati, eppure gli abiti continuavano a essere pesanti, ingombrati, costruttivi.

Lui li «svuotò» tutti: decostruì le giacche e alleggerì i pantaloni degli uomini. E la stessa cosa fece con le donne che vestì pensandole sedute a una scrivania o di corsa a prendere un taxi. 

Poi successe che un regista di Hollywood, Paul Schrader, lo contattò per disegnare gli abiti del suo «American gigolò», «Venne a Milano con John Travolta e io accettai», si divertiva a raccontare Armani svelando che inizialmente il protagonista non doveva essere Richard Gere. Era 1980. Fu la consacrazione negli States. In soli sette anni dalla fondazione del brand arriva la copertina di Time. Era il 1982. «La copertina può soddisfare la mia vanità, ma è l’attenzione che hanno dedicato al mio lavoro che mi dà grande piacere professionale. Hanno capito – senza la sufficienza che spesso usa chi parla di moda – il valore di un impegno che non consiste nel disegnare qualche modello, ma nel cercare continuamente di adattare un modo di vestire e di vivere, vivere, vivere, un’idea a una possibilità di riproduzione industriale», aveva commentato «analitico».

Poi è stata una cavalcata unica, senza perdere mai un colpo, ma anzi costruendo un pezzo di storia in più ogni stagione, avanti e ancora avanti: «Ogni giorno dal mio lavoro imparo qualcosa», diceva sino all’ultimo. 

Ecco, in ordine sparso perché le date non hanno importanza quando tutto si compie: Emporio Armani, i profumi, la casa, il beauty, gli hotels, Ea7, i film, i libri, le mostre, gli occhiali, il Silos, l’alta moda Privé, i palazzi, le barche e le sue bellissime dimore. Un impero con al centro sempre la sua visione: una moda coerente, programmatica, mai immobile e soprattutto mai «ridicola», un termine che lui detestava. «Lo stile», diceva, «è eleganza, non stravaganza. L’importanza è non farsi notare, ma ricordare».

Non che sia sempre stato tutto cosi gioioso. La morte improvvisa del compagno di lavoro e vita, Sergio Galeotti, aveva segnato uno dei passaggi più importanti. Era il 1985. Il 13 agosto, per l’esattezza, data che lo stilista non dimenticherà mai Prima Giorgio Armani era «lo stilista»; dopo quel giorno divenne «lo stilista imprenditore». «Ho cercato di riempire il grande vuoto lasciato da Sergio con l’irruenza tipica di un naif. Ho superato ostacoli, affrontato complicazioni, ho tentato di chiarirmi le idee, ho voluto scoprire i miei punti deboli». 

Testa bassa e avanti («Ho dato tutto e rinunciato alla mia vita per il mio lavoro»), in poco tempo prese in mano tutto, organizzando e impostando e progettando e portando il tutto nei successi cui sopra. La leggenda racconta che sempre di più divenne il primo a entrare e l’ultimo a uscire spegnendo sempre la luce. 

E quando quello che aveva creato divenne un impero, grande e invidiato, resistette alle lusinghe delle offerte. Le prime sono arrivate negli anni Novanta, le ultime lo scorso anno. «L’azienda porta il nome del suo creatore e questo genera un legame fortissimo che sopravvive alla cessione del brand. E dello stesso mercato che esige la presenza del creativo e identificare in lui la creatività, il controllo e l’assidua attenzione».

Resistenza che ha consolidato in questi ultimi stabilendo cosa avrebbe dovuto succedere dopo di lui, dall’eredità stilistica alla nipote Silvana Armani e al compagno braccio destro Leo Dell’Orco. Tutto stabilito con la Fondazione e con le sue regole. Con entrambi è uscito a raccoglierle gli applausi negli ultimi show. Applausi che amava, esigeva, meritava. Anche quando avrebbe potuto farne a meno per gli affetti, gli anni, il successo, il denaro, la fama, i palazzi, le barche… 

«Perché dovrei fermarmi o “fregarmene”», aveva risposto lo scorso anno, a Parigi, appunto. «Io sono il mio lavoro se lo facessi significherebbe che non m’importa nulla di me».

Spenga pure lei la sua luce, signor Giorgio Armani. È giusto così. 

4 settembre 2025 ( modifica il 4 settembre 2025 | 15:21)