Contro il governo Netanyhau si è formata una netta e ostica opposizione, che sarà forse decisiva nelle prossime settimane. Un’opposizione costituita dall’inflessibile principio di realtà incarnato dai generali che comandano Idf, le forze armate. Generali israeliani che sostengono di fatto la stessa piattaforma delle enormi manifestazioni di protesta. Il generale Eyal Zamir, capo delle Idf, ormai in rotta con il premier israeliano nonostante sia stato da lui nominato per eliminare il predecessore Herzi Halevi che sosteneva le stesse cose, chiede a gran voce che si firmi subito l’accordo parziale sugli ostaggi con Hamas – che il Bibi rifiuta – e che si arrivi a una rapida conclusione della guerra, non alla sua prosecuzione, come imposto dall’estrema destra di governo. La stessa piattaforma delle famiglie degli ostaggi che guidano le proteste di piazza.

Questo, sulla base di un’analisi oggettiva dell’andamento delle operazioni militari, basata appunto sul principio di realtà e non sulle isterie bibliche idiote dei ministri di estrema destra Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich (che non hanno mai fatto il servizio militare, Ben Gvir è stato rifiutato dall’esercito perché simpatizzante dei terroristi di destra).

L’analisi impietosa di Zamir è contenuta in un documento ufficiale del Centro operativo delle truppe di terra delle stesse Idf, reso pubblico da Keshet News, sostiene che l’operazione “Carri di Gedeone”, voluta dal governo nel maggio scorso, sinora «è sostanzialmente fallita», che «la distribuzione degli aiuti umanitari da parte dell’esercito è stata goffa e ha permesso ad Hamas di lanciare una campagna mediatica, falsa ma efficace, contro la carestia a Gaza». E infine che tre grandi roccaforti di Hamas sono rimaste in gran parte intatte durante l’operazione: Gaza City, compresi quartieri densamente abitati come Shati, Rimal e Sabra, i centri di Nuseirat e Deir al Balah e vaste aree di sfollati attorno a Khan Younis.

Da qui, la posizione dei generali espressa dal generale Zamir che si somma alla pressione del forte movimento di protesta nelle piazze e alla posizione delle famiglie degli ostaggi. È questa una realtà potenzialmente esplosiva che incombe sul governo israeliano. La coincidenza sostanziale delle strategie del vertice di Idf con la piattaforma del movimento di piazza è un inedito assoluto, soprattutto in un Israele nel quale c’è una sovrapposizione, un’identità totale, sinergica, tra forze armate e popolazione civile, e indebolisce la tenuta stessa del governo Netanyhau.

Una realtà che nelle prossime settimane si riverbererà sulle stesse operazioni militari nella Striscia, che vedranno un vertice militare assolutamente non convinto della strategia che è costretto a perseguire – per non aprire una terribile crisi istituzionale – e più di metà del Paese sulle stesse posizioni. Secondo i sondaggi, infatti, il settantacinque per cento degli israeliani è a favore dell’accordo parziale sugli ostaggi chiesto da Zamir e rifiutato dal governo, e per la fine rapida della guerra. L’ennesima conferma, dunque, che il governo Netanyhau è minoritario e che resta al potere solo grazie alla sua cinica capacità di manovra, priva di quella sostanza etica che per più di un secolo si è incarnata nel sionismo.

Eyal Zamir, dunque, durante una burrascosa riunione di governo lunedì scorso ha chiesto che si sospenda l’azione militare e che si accetti la proposta di tregua, col rilascio parziale di ostaggi e con serie trattative per la fine della guerra, elaborata dall’inviato di Donald Trump Steve Witkoff e finalmente accolta da Hamas.

Non solo, Zamir ha anche e soprattutto sfidato i ministri e lo stesso Netanyhau a rendersi finalmente conto che, se si sviluppasse fino in fondo l’occupazione completa di Gaza City, come preteso dai ministri di estrema destra che ormai hanno la piena direzione del governo, lo sbocco obbligatorio sarebbe un governo militare della Striscia che però Idf si rifiuta di assumere: «La vostra decisione di conquistare Gaza City, e che in seguito porterà alla conquista dei campi profughi nella Gaza centrale, ci porterà a un governo militare, perché non ci sarà nessun altro organismo che possa assumersi la responsabilità della popolazione».

Il segretario di gabinetto Yossi Fuchs gli ha risposto affermando che era già stata presa la decisione di non istituire un governo militare a Gaza. Parole al vento che non tengono conto dei dati di fatto. Il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, ha quindi riproposto la sua strategia basata sulla pulizia etnica: «Invece di un governo militare, incoraggiate l’emigrazione volontaria!» Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha tagliato corto: «Abbiamo preso una decisione».

Durante la riunione di governo sono così volate parole grosse. Eyal Zamir, sferzante, ha chiesto ai ministri: «Dove eravate voi il 7 e l’8 ottobre 2024?» Un’esplicita accusa a Netanyhau e ai suoi ministri oltranzisti di essere responsabili della mancata prevenzione israeliana del terribile pogrom di Hamas. La ministra dell’ultradestra Orig Malka Stroot, citando un versetto del Deuteronomio, ha allora accusato esplicitamente Eyal Zamir di essere un cacadubbi pauroso e che è meglio che se ne torni a casa, suscitando la ovvia risposta irata del capo delle Idf.

Mai, assolutamente mai, nella storia di Israele, si è verificato uno scontro così netto e drammatico tra una direzione politica del governo e le Forze armate, e la responsabilità di questa terribile lacerazione è tutta di Bibi Netanyhau che, pur di mantenersi al potere e di non andare a elezioni anticipate, ha consegnato all’estrema destra la guida dell’esecutivo.

Il problema però è che, come sempre nella storia e nel mondo, le strategie militari dell’estrema destra, ispirate da uno stolto messianismo biblico, sono demenziali, scollegate dalla realtà e quindi perdenti, come appunto i generali di ogni inclinazione politica continuano a ribadire. E non va dimenticato che Eyal Zamir era un fedelissimo di Bibi Netanyhau, assolutamente di destra.

Non va dimenticato soprattutto che Netanyhau ha costretto quasi un anno fa alle dimissioni il ministro della Difesa, l’ex generale Yoav Gallant, il comandante delle Idf, il generale Herzi Halevi e i membri del gabinetto di guerra, i generali ed ex comandanti delle Idf Benny Ganz e Gadi Eisenkot, che di fatto sostenevano la stessa strategia oggi propugnata da Eyal Zamir. Un blocco di cinque comandanti storici di Idf, tutti legati al Likud, attestati sostanzialmente sulle stesse posizioni: segno che è il corpo, la direzione complessiva di Idf, che sostiene che la guerra deve finire e che di fatto non è materialmente possibile l’eliminazione completa di Hamas da Gaza per via militare a causa della sua vincente nuova strategia che interseca la massiccia presa di ostaggi con la dislocazione di ventimila miliziani nei tunnel.

Miliziani dei quali è sì stata uccisa la metà, così come è stata sterminata la leadership, a partire da Yaha Sinwar, ma il radicamento di Hamas tra la popolazione civile, che non è affatto del tutto incolpevole come si dice, ha permesso una nuova leva di combattenti. Sono nuove milizie, con scarsa esperienza, ma sempre in grado di difendersi nei tunnel e di uccidere soldati israeliani, e soprattutto in grado di tentare di prendere tra di loro nuovi ostaggi, esplicita strategia propugnata dai nuovi dirigenti di Hamas.

Il risultato finale è che la strategia imposta da Bibi Netanyhau ha portato Israele al discredito dinanzi al mondo e a un isolamento internazionale mai visto. Lo stesso Donald Trump, che sinora ha appoggiato il premier, è stato costretto a prenderne atto: «La lobby di Israele controllava il Congresso degli Stati Uniti. Ora non è più così: la guerra deve finire».

In queste condizioni, la Idf guidata da Eyal Zamir continua a non dare pretesti per una rovinosa crisi istituzionale, formalmente non disattende le demenziali strategie imposte dal governo e richiama sessantamila riservisti per continuare la pressione su Gaza City, avvertendo però che lo spostamento della popolazione civile richiede per forza settimane e non giorni, come preteso dagli incapaci ministri dell’estrema destra.

Il tutto in un clima pessimo, con un Paese lacerato come non mai, con centinaia, forse migliaia di riservisti che si rifiutano di combattere, con soldati portati a combattere da un quartier generale che non condivide per nulla la strategia che il governo gli impone. E i soldati, sul terreno, questo lo avvertono pienamente. Una guerra combattuta così non può essere vinta. E anche Hamas lo sa bene.