Questo è il numero di venerdì 5 settembre 2025 della newsletter Hanno tutti ragione, firmata da Stefano Cappellini. Per attivare l’iscrizione clicca qui

Erano gli anni Novanta e Massimo D’Alema, allora capo del Partito democratico della sinistra, era ospite di non ricordo più quale talk tv dell’epoca, è passato tanto tempo, ma direi Santoro o Vespa. Un ospite del programma della fazione a lui avversa gli contestò un argomento che allora andava ancora forte, la fresca provenienza dal comunismo, e nella pronta replica D’Alema non disse: non sono mai stato comunista (quello era Walter Veltroni); non disse: non sono più comunista (quello poteva essere un Piero Fassino o un Pier Luigi Bersani). All’ostile interlocutore, assumendo subito il suo inconfondibile tono mezzo piccato mezzo disgustato, D’Alema disse: “Ma lei lo sa con chi sono stato a cena l’altra sera?”. Ve lo dico dopo, con chi era andato a cena.

Due giorni fa, come ormai è noto ai più, D’Alema era a Pechino per la parata militare con la quale la Cina ha festeggiato l’anniversario della fine della seconda guerra mondiale. Intervistato per strada da una tv locale, verosimilmente là dove poco prima erano sfilati missili e droni, ha lodato gli sforzi pacifisti della Cina. Poi è comparso in una foto ufficiale insieme agli ospiti d’onore dell’evento. Nello scatto lo si vede all’estrema destra di chi guarda, all’estrema sinistra dal punto di vista di D’Alema e conta di più. Era in terza fila ma capotavola è dove si siede lui, pure in una inquadratura. Nella prima fila, del resto, c’era la crema delle autocrazie mondiali. Tipo il dittatore nordcoreano Kim Jong-un. Tipo il dittatore bielorusso Alexandr Lukashenko. Tipo il capo della giunta golpista del Myanmar Min Aung Hlaing. Senza contare Vladimir Putin, ovviamente.

La presenza di D’Alema a Pechino non è sorprendente. Da anni l’ex presidente del Consiglio e ministro degli Esteri è fautore dell’offensiva cinese e russa contro l’Occidente. La considera un sano riequilibrio geopolitico. Circa un anno e mezzo fa mandò in stampa un numero della rivista Italianieuropei tutto costruito per esaltare le picconate di Mosca e Pechino al vecchio ordine mondiale. Il Global West affossato dal Global Rest, cioè il resto del mondo: Cina, Russia, Iran, Venezuela, Nicaragua (l’elenco non è mio, è della rivista). Quelli della foto, insomma. Anche la guerra in Ucraina, nella visione di D’Alema come di molti altri capataz della sinistra italiana, non è l’aggressione della Russia a Kiev, piuttosto la inevitabile reazione di Putin al bellicismo e all’imperialismo di Usa e Nato. In uno degli articoli pubblicati da Italianieuropei si poteva leggere che nell’agenda di Putin ci sono l’ecosostenibilità e la pace nel mondo. Anche l’anno scorso D’Alema era ospite d’onore in Cina, in quel caso a un Forum sulla democrazia, e se un po’ vi lascia scettici ve lo giuro dal convegno dei vegani sulla carne o dei carnivori sui vegani. D’Alema, però, non ama scherzare su queste cose. Tanto più che il Forum era organizzato dal regime di Xi per contestare l’idea che quelle occidentali siano vere democrazie. Il contributo intellettuale dalemiano era in linea. La tesi: ognuno si fa la democrazia che crede, anche poca all’occorrenza, anche niente, ma chi siamo noi per giudicare gli altri? Chi, per sentirci migliori di loro? Taci, Occidente avido e pasciuto.

Non che D’Alema sia deperito. In questi anni, lasciata la politica attiva, le sue attività imprenditoriali sono proseguite con successo, da servizi per colossi mondiali della consulenza a imprese enologiche (in Cina sono molto apprezzati i vini dell’azienda umbra di famiglia) fino a meno fortunate mediazioni nella vendita di armi alla Colombia per le quali siamo felici di dirvi ufficialmente che è esclusa qualsiasi implicazione penale. Per quelle politiche, non usa più discuterne. L’importante è che le armi non arrivino all’Ucraina, ché sennò la guerra si prolunga inutilmente e gli ucraini diventano responsabili dei loro stessi civili uccisi da missili e droni russi. Come dice sempre Giuseppe Conte, il problema è la “furia bellicista” della Ue e della Nato. I 5S, infatti, sono intervenuti per difendere D’Alema in posa con i dittatori, in quanto la presenza in loco rientrerebbe nel necessario dialogo diplomatico, lo stesso invocato quando si sosteneva che la guerra in Ucraina non finiva solo perché nessuno aveva il coraggio di chiamare Putin e farlo sedere a un tavolo (“Io lo chiamerei tutti i giorni”, disse Conte).

Con i cattivi si parla, è la parola d’ordine di quest’area politica, ammesso che siano loro i cattivi. Ammesso e non concesso, ovviamente.

Qualche maligno pensa che D’Alema sia andato a Pechino anche per interessi personali. Lo escluderei. Nella sua terza vita – la prima da comunista togliattiano, la seconda da blairiano per la Terza Via, la terza da marxista contiano – D’Alema è un sincero alfiere delle ragioni dell’antimperialismo. L’imperialismo occidentale. Quello degli altri non è imperialismo. Resistenza, casomai. Se la Cina vuole Taiwan, chi siamo noi per giudicare? Noi che abbiamo rovesciato l’Iraq, invaso l’Afghanistan, bombardato la Serbia per il Kosovo.

C’era anche il presidente serbo Aleksandar Vucic l’altro giorno a Pechino e certamente D’Alema, da ex presidente del Consiglio, si sarà rammaricato con lui per i bombardamenti Nato su Belgrado del 1999. Lui che prima di quei fatti, la volta che in tv dovette smontare l’accusa di comunismo che gli rivolgeva un avversario, disse: “Lo sa con chi sono stato a cena l’altra sera?”. Pausa. Ghigno dalemiano: “Con il segretario generale della Nato”. A ripensarci oggi si può dire che, almeno su questo, la linea è rimasta la stessa: si parla con tutti, anche con i più cattivi.