di
Giuliana Ferraino

Certezza giuridica, mercato del lavoro e costi dell’energia frenano la competitività italiana. Letta: «Italia e Spagna devono diventare la Scandinavia del Sud Europa»

Centotredici miliardi di euro. È la distanza che separa Italia e Spagna nella capacità di attrarre investimenti esteri nell’ultimo decennio. Tra il 2015 e il 2024 Madrid ha raccolto 304 miliardi di investimenti diretti esteri (IDE), contro i 191 miliardi arrivati a Roma. Il dato, messo nero su bianco nello studio di The European House – Ambrosetti in collaborazione con Amazon, è stato presentato al Forum Teha di Cernobbio e mette in evidenza un gap strutturale, nonostante due Paesi simili per dimensione economica, collocazione geografica e cultura.

La differenza non è solo di capitali, ma anche di posti di lavoro: in Spagna gli 856 progetti greenfield hanno creato oltre 72.400 nuovi occupati, in Italia i 303 progetti si sono fermati a 40 mila. «Attrarre investimenti richiede un approccio sistemico, fatto di certezza normativa, buone infrastrutture e tempi rapidi», osserva Valerio De Molli, managing partner e ceo di Teha.



















































Lo studio individua i fattori principali che spingono gli investitori verso Madrid. Primo fra tutti la certezza giuridica: le cause civili e commerciali in Spagna si chiudono in media in 275 giorni, meno della metà dei 527 giorni italiani, con sentenze esecutive già al primo grado. Secondo, il mercato del lavoro: il tasso di partecipazione spagnolo (80,2%) supera di 8,5 punti quello italiano (71,7%), con effetti immediati sulla produttività. Terzo, i costi energetici: le imprese spagnole pagano in media 166,6 €/MWh, contro i 252,9 €/MWh dell’Italia, un divario che incide pesantemente sulla competitività industriale.

La distanza si allarga guardando alla dinamica salariale. In Italia i salari reali sono diminuiti del 3,3% tra il 2000 e il 2023, unico caso nell’Ocse, mentre in Spagna sono cresciuti del 4,9%. Anche il cuneo fiscale pesa: 45,1% dei costi del lavoro in Italia, 40,2% in Spagna. Nonostante aliquote nominali simili, la struttura fiscale più semplice e un onere contributivo più leggero rendono Madrid più attrattiva per le multinazionali.

Il confronto penalizza l’Italia anche sul fronte della produttività, in calo del 2,6% contro il +3,2% spagnolo. Sul piano digitale, la Spagna primeggia per qualità dei servizi pubblici online e per interoperabilità dei servizi transfrontalieri, mentre l’Italia sconta ritardi nella piena modernizzazione della pubblica amministrazione.

«Abbiamo investito oltre 25 miliardi in Italia e 20 in Spagna nell’ultimo decennio, osservando direttamente punti di forza e limiti», ricorda Giorgio Busnelli, country manager di Amazon Italia. «L’Italia ha eccellenze manifatturiere e capacità di innovazione notevoli, ma la burocrazia complessa e il peso fiscale ne frenano il potenziale». Busnelli ha ricordato anche il contributo diretto dell’azienda: 19 mila dipendenti a tempo indeterminato in Italia, oltre 20 mila Pmi che collaborano con Amazon, con 4 miliardi di investimenti solo nell’ultimo anno.

Lo studio non si limita alla diagnosi ma propone cinque direttrici di riforma: modernizzazione amministrativa con piattaforme digitali unificate; prevedibilità normativa per tutelare gli investimenti; armonizzazione legislativa europea per semplificare il mercato unico; rafforzamento dei legami tra ricerca e industria; e politiche mirate all’attrazione di talenti internazionali.

«Italia e Spagna hanno complementarità importanti e potrebbero trarre vantaggio da una maggiore cooperazione», ha sottolineato Enrico Letta, dean della IE School di Madrid e advisor della ricerca. Invece «i due Paesi collaborano molto meno di quanto dovrebbero e potrebbero. Hanno tre grandi sfide comuni – demografia, competenze e regolamentazione – e potrebbero diventare il motore del Mediterraneo. La Spagna ha un vantaggio competitivo grazie al rapporto con l’America Latina, ma l’Italia ha legami altrettanto forti: insieme dovrebbero farsi promotrici dell’accordo con il Mercosur e della cosiddetta quinta libertà europea. Devono imparare dai Paesi scandinavi, diversi tra loro ma capaci di agire come un blocco unico. Italia e Spagna dovrebbero essere la ‘Scandinavia del Sud’, smettere di competere e iniziare a integrarsi di più», ha aggiunto l’ex premier.

IL messaggio da Cernobbio è netto: senza riforme strutturali e senza una cooperazione più stretta con Madrid, l’Italia rischia di restare indietro persino nel Mediterraneo, mentre la Spagna corre forte.

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5 settembre 2025