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Prima delle ultime elezioni parlamentari nel Regno Unito, nel luglio del 2024, c’erano seri dubbi che Nigel Farage sarebbe riuscito a farsi eleggere alla Camera dei Comuni. Era l’ottava volta che ci provava durante la sua carriera politica trentennale, portata avanti fuori dalle istituzioni del suo paese. A lungo infatti la classe politica britannica lo ha considerato una specie di macchietta mono-dimensionale, tutta schiacciata sulla campagna per fare uscire il Regno Unito dall’Unione Europea.
Per ventuno anni, dal 1999 al 2020, l’unica carica politica di rilievo ricoperta da Farage è stata quella di parlamentare europeo. In quel periodo fra Bruxelles e Strasburgo si fece notare soprattutto per le sue lunghe assenze e i suoi (rari) interventi in aula pieni di dichiarazioni false e sopra le righe. Farage lasciò il seggio soltanto quando il Regno Unito uscì formalmente dall’Unione Europea, anche come conseguenza delle sue ininterrotte campagne euroscettiche.
L’ottavo tentativo però è stato quello buono. Nel 2024 Farage è stato eletto al parlamento britannico per la prima volta nella sua carriera, a 60 anni. E da allora per lui è cambiato tutto.
Oggi Farage raccoglie più consensi di quanti ne abbia mai avuti nella sua carriera, tanto che si parla di lui – senza sarcasmo – come possibile futuro primo ministro in vista delle prossime elezioni (a cui comunque manca ancora parecchio). Il suo partito populista, Reform, è entrato sia in parlamento sia nei consigli locali con una profondità, una organizzazione e soprattutto livelli di consenso mai raggiunti dai precedenti partiti nati e morti attorno a Farage (UKIP e Brexit Party). A livello nazionale Reform è stabilmente primo nelle intenzioni di voto e venerdì a Birmingham è iniziata la sua convention annuale, con cui cercherà di consolidare i suoi consensi.
Ma com’è potuto succedere che Nigel Farage sia diventato un candidato credibile per l’incarico di primo ministro?
Per qualche anno dopo Brexit – avendo di fatto raggiunto il suo principale obiettivo politico – Farage aveva abbandonato la politica attiva. Per un certo tempo si era limitato a ruoli come il presentatore radiofonico e l’influencer, e a fare l’amicone britannico di Donald Trump. Sembrava anche aver rinunciato del tutto a farsi eleggere a Londra: dopo la settima sconfitta elettorale aveva detto pubblicamente che in realtà aveva molto più potere da parlamentare europeo che da parlamentare britannico.
Il giornalista Michael Crick, che ha scritto la principale biografia di Farage, racconta che nei mesi immediatamente precedenti al suo ritorno in politica, a ridosso delle elezioni del 2024, si erano accumulati alcuni fattori che l’avevano convinto a riprovarci.
Nigel Farage annuncia la sua candidatura alla Camera dei Comuni, il 4 giugno del 2024 a Clacton-On-Sea (Martin Pope/ZUMA/Ansa)
Nel 2023 Farage montò un caso iniziando un lungo e complesso contenzioso con una prestigiosa banca privata, la Coutts, che aveva cercato di chiudergli il conto. Il caso portò alle dimissioni dell’amministratrice delegata del gruppo, e Farage ne ricavò la credibilità per spacciarsi come difensore dei piccoli risparmiatori vessati dalle banche. Tutto questo nonostante fosse un ex broker in conflitto con una banca privata che accetta solo clienti straricchi.
Crick cita altri due episodi. Nell’autunno dello stesso anno Farage si fece inviare come giornalista (si era messo a fare il presentatore per il canale conservatore GB News) alla convention del Partito Conservatore, dove l’entusiasmo con cui fu accolto dal pubblico lo convinse di avere ancora sostegno e simpatizzanti. A un certo punto fra gli appassionati di politica diventò virale un video in cui ballava con Priti Patel, tra i principali esponenti dell’ala più radicale del partito ed ex ministra dell’Interno nel governo di Boris Johnson tra il 2019 e il 2022.
Infine c’era stata la partecipazione al reality televisivo I’m a Celebrity… Get Me Out of Here!, un format simile all’Isola dei Famosi italiano, che garantì di fatto a Farage decine di ore di presenza in un programma tv ancora molto seguito e soprattutto lontano dall’immaginario un po’ polveroso della politica.
Quando è tornato, insomma, Farage era reduce da una specie di rebranding.
Dal punto di vista politico la sua proposta in realtà non è cambiata per nulla. Una volta tornato al centro delle attenzioni si è concentrato sul suo argomento di sempre: la demonizzazione dei migranti, specie se non bianchi. Era uno dei suoi temi preferiti da parlamentare europeo, lo è rimasto anche oggi. Farage continua ad avere posizioni molto a destra sul rapporto fra immigrazione e criminalità e sull’Islam, e in caso di elezione a primo ministro ha promesso di espellere circa 600mila richiedenti asilo (un piano infattibile e che genererebbe enormi sofferenze per le persone coinvolte).
Nel frattempo però è successo qualcosa: il dibattito politico britannico si è spostato molto a destra, soprattutto sull’immigrazione. I due principali partiti, i Laburisti e i Conservatori, si sono molto avvicinati alle posizioni che Farage mantiene da una vita, ammettendo implicitamente che abbia sempre avuto ragione.
Nigel Farage presenta il piano di espulsioni di massa davanti a un finto tabellone con le partenze degli aerei, il 26 agosto (AP Photo/Joanna Chan)
Ormai da anni il Regno Unito è un paese sempre più povero – anche per via di Brexit – sempre meno rilevante sul piano internazionale, e con importanti spinte indipendentiste al suo interno. Questo declino ha anche coinciso con un aumento degli arrivi di richiedenti asilo via mare dal canale della Manica. Fra il 2020 e il 2024 sono stati quasi 150mila, per una media di 30mila ogni anno (nello stesso periodo in Italia ne sono arrivati via mare 430mila, in Spagna 230mila).
Sono numeri gestibili, pur con qualche sforzo, per un paese come il Regno Unito: che peraltro ha croniche lacune in alcuni settori della sua economia. I partiti però hanno visto nei richiedenti asilo dei bersagli facili per addossare loro la responsabilità delle molte storture del paese, e insistito parecchio sulla necessità di ridurre i loro arrivi sulle coste britanniche oppure di espellerli rapidamente dal territorio britannico.
I Conservatori, al potere ininterrottamente fra il 2010 e il 2024, sono stati i primi ad adottare la retorica sciovinista tipica di Farage: senza però ottenere i risultati che promettevano. Il loro piano di espellere diverse categorie di migranti in Ruanda è stato bloccato prima dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, poi dalla Corte Suprema britannica. L’ultimo primo ministro conservatore in ordine di tempo, Rishi Sunak, si era giocato molto del suo credito politico sulla promessa di «fermare le barche» con cui le persone migranti cercano di raggiungere le coste britanniche attraversando la Manica. Nel frattempo però gli arrivi non sono diminuiti, anzi.
Dopo aver stravinto le elezioni del 2024, anche i Laburisti del primo ministro Keir Starmer hanno adottato posizioni sempre più radicali sull’immigrazione, addirittura riesumando lo slogan sul «riprendere il controllo dei confini» proprio della campagna a favore dell’uscita dall’Unione Europea al referendum su Brexit. Sui social il governo Laburista annuncia con grande enfasi e cadenza pressoché quotidiana le espulsioni di persone migranti, o le operazioni di polizia per bloccare le barche sulle coste francesi, con una retorica indistinguibile da quella dei Conservatori ma soprattutto di Farage.
Keir Starmer durante una conferenza stampa a Downing Street, sede del primo ministro britannico, il 29 luglio (Toby Melville – WPA Pool/Getty Images)
In tutto questo infatti Farage è avvantaggiato sia dal fatto di avere sempre mantenuto la stessa posizione intransigente nei confronti della migrazione, sia di non essere mai stato al governo.
Il suo recente rebranding e l’ostilità nei confronti dei migranti non sono però le uniche ragioni del successo attuale. Il politologo Tim Bale, che insegna alla Queen Mary University di Londra, spiega per esempio che dal punto di vista politico Farage ha colmato una specie di «vuoto».
Da un lato la crisi d’identità dei Conservatori, logorati dopo quasi 15 anni al potere, e dall’altro le difficoltà del governo Laburista hanno fatto sì che possa presentarsi come un’alternativa concreta agli elettori delusi da entrambi i partiti. Proprio durante il primo giorno della convention di Reform UK si è dimessa la vice prima ministra Angela Rayner: una circostanza che ha convinto Farage ad anticipare il suo discorso, per sfruttare al massimo il caso e un ulteriore danno d’immagine dei Laburisti.
Tutto questo ha consentito a Farage di sganciare la sua reputazione da Brexit, che è stata il suo maggiore successo ma è considerata da sempre più persone (persino da lui) un esperimento fallimentare e non più centrale nel dibattito politico.
I risultati sono evidenti. Un’analisi dell’istituto YouGov, realizzata un anno dopo le ultime elezioni, ha riscontrato un travaso di consensi dai partiti storici a Reform. In particolare, Reform ha soppiantato i Laburisti come partito di riferimento per le persone meno ricche: e anche questa tendenza sembra frutto di una strategia precisa.
Il ricercatore dell’università di Oxford Vladimir Bortun infatti racconta che Reform si sta travestendo da «partito protettore dei lavoratori» nonostante abbia un programma che non fa i loro interessi e mantenga invece legami con la grande industria.
Un dettaglio di Farage durante una conferenza stampa a Londra, lo scorso giugno (EPA/NEIL HALL/ansa)
Negli ultimi mesi Farage ha insistito con proposte di sinistra, come la nazionalizzazione di aziende del settore idrico e siderurgico. Così facendo sembra sia riuscito ad attirare i consensi di persone storicamente refrattarie a votare i suoi precedenti partiti, come le giovani donne e le persone iscritte ai sindacati.
Si è visto qualcosa di simile a livello geografico: alle elezioni locali di maggio Reform ha vinto a Durham, in una zona nota per gli scioperi dei minatori contro Margaret Thatcher di quarant’anni fa. Farage, che in passato concentrava i suoi consensi in Inghilterra, ha aperto sezioni del partito in Galles e in Scozia, e anche questa è una novità.
Lo storico Colin Kidd, che insegna all’università di St Andrews in Scozia, vede però in quest’approccio un potenziale limite a un’ulteriore espansione dei consensi di Reform. Kidd parla di una «triangolazione», cioè di una serie di proposte che «va simultaneamente in due direzioni» ma a un certo punto dovrà prenderne una e quindi deludere molte persone. Se Farage si mostrasse troppo moderato – un’eventualità remota, al momento – potrebbe indispettire la sua base storica; se esacerbasse troppo la retorica nazionalista, potrebbe alienarsi gli elettori centristi che ha attirato di recente.
La polizia a una protesta dell’estrema destra contro gli hotel che ospitano richiedenti asilo, a Orpington, il 22 agosto (EPA/TOLGA AKMEN/ansa)
A differenza delle altre volte però Farage avrà a disposizione un partito vero, come non lo sono mai stati né lo UKIP né il Brexit Party: cosa che potrà aiutare nei momenti di difficoltà e soprattutto gli permetterà di lavorare con grande anticipo alla prossima campagna elettorale, prevista per il 2029.
Farage infatti è riuscito a professionalizzare Reform, che oggi ha centinaia di funzionari e oltre 230mila tesserati: un dato che lo rende il secondo partito per dimensioni dopo i Laburisti. La struttura del partito limita lo spazio per le discussioni o il dissenso interno ed è costruita intorno a Farage. Dal punto di vista formale Reform è una fondazione no profit, e rimuovere il suo presidente e fondatore – cioè Farage stesso – è praticamente impossibile.
Nigel Farage nella sede di Reform UK, nella Millbank Tower di Londra, il 4 agosto (EPA/TOLGA AKMEN)
Sempre nell’ottica di diventare un partito istituzionale, o di presentarsi come tale, recentemente Reform ha lanciato un think tank. Si chiama Centre for a Better Britain (CBB), ha anche un ufficio negli Stati Uniti, e dovrebbe servire a elaborare proposte politiche più dettagliate. Al momento il partito non ha ancora diffuso un programma, ma in effetti le prossime elezioni sono piuttosto in là nel tempo (a meno di enormi imprevisti al parlamento britannico, dove i Laburisti hanno una larga maggioranza).
Farage ostenta una strategia a lungo termine: in una recente intervista al Wall Street Journal ha detto: «Non mi stavo battendo per vincere quell’elezione [nel 2024], mi stavo battendo per quella dopo».