“Le truppe straniere in Ucraina saranno considerate un bersaglio legittimo da Mosca”. A meno di 24 ore dalla prova di unità mostrata a Parigi dalla Coalizione dei Volenterosi, Vladimir Putin torna a spegnere le prospettive di una pace nel breve e medio termine, bocciando, di fatto, l’architrave delle garanzie di sicurezza che l’Occidente ha in mente per l’Ucraina una volta finita la guerra.
Un conflitto che Putin “non vuole far finire”, è la replica alla quale si affidano il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Facendo intendere che, sul piano a difesa di Kiev, i Volenterosi non contemplano passi indietro. Il tema, tuttavia, è che, a venti giorni dal vertice tra Donald Trump e Putin in Alaska, i passi concreti per la pace latitano.
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Non a caso Zelensky ha chiesto che “le garanzie di sicurezza inizino subito, senza attendere la fine dei combattimenti”. Mossa, quest’ultima, sulla quale difficilmente le cancellerie europee potranno accontentare il leader di Kiev. Più semplice, per l’Ue e gli Alleati, insistere sulle sanzioni alla Russia e continuare a togliere linfa alla macchina da guerra del Cremlino, arrivando all’azzeramento, per i 27 Paesi europei, dell’import di energia.
Su questo punto Bruxelles e Kiev possono contare sul chiaro sostegno di Donald Trump, che ha chiesto con veemenza di smettere di comprare petrolio russo, prendendosela quindi con due dei suoi principali alleati nel Vecchio continente: i leader sovranisti di Ungheria e Slovacchia Viktor Orban e Robert Fico. Sul fronte delle sanzioni, un team della Commissione è volato a Washington per tentare un maggior coordinamento tra Ue e Usa, oggetto di un colloquio telefonico tra Ursula von der Leyen e JD Vance.
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Se la Russia non vuole le sanzioni la soluzione è semplice, fermi la guerra e sieda al tavolo dei negoziati”, ha spiegato Costa, in conferenza stampa con Zelensky da Uzhorod, città della Transcarpazia al confine tra Ucraina e Slovacchia e a pochi chilometri dalla frontiera dell’Ungheria, i due Paesi che più di tutti, in Ue, si sono schierati contro il sostegno a Kiev. Il supporto militare e politico all’Ucraina è stato tra i temi che Ursula von der Leyen ha toccato a pranzo con i Rappresentanti Permanenti dei 27 in vista, tra l’altro, del discorso dello State of Union di mercoledì.
Ed è tra i punti che Costa sta affrontando nel suo tour delle capitali europee prima del Consiglio europeo informale di Copenaghen di inizio ottobre. Ma l’impegno dell’Ue non basta. Per agevolare un incontro tra Putin e Zelensky resta imprescindibile il ruolo degli Usa. “Parlerò con Putin, abbiamo un buon dialogo”, ha assicurato il tycoon. “La presidenza russa non ha nulla da annunciare su possibili nuovi colloqui tra Putin e Trump”, ha frenato il Cremlino sottolineando come un incontro con Zelensky sia possibile e organizzabile rapidamente, ma non sia vicino. Lo Zar è andato oltre e, da Vladivostock, ha avvertito che le forze militare dei Volenterosi e della Nato sul terreno ucraino sarebbero considerate “una minaccia e un obiettivo legittimo”.
“Se si raggiunge la pace – ha sottolineato – non c’è alcun bisogno di truppe”. I Volenterosi che “discutono le garanzie per Kiev ci consultino”, gli ha fatto eco il numero due del Consiglio di sicurezza russo, Dmitri Medvedev. Putin ha anche ribadito il suo “no” all’ingresso di Kiev della Nato, e ha rinnovato l’invito a Mosca per Zelensky, spiegando che la Russia garantirà l’immunità della delegazione ucraina.
Parole alle quali il leader di Kiev non ha neppure replicato. A regnare, insomma, è uno stallo accompagnato da un certo pessimismo. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha ammesso che “prima di Natale un accordo con Putin è impossibile”. O forse, come ha spiegato uno dei volti più noti del contro Memorial, l’attivista russo Oleg Orlov, un pace sarà possibile solo quando lo Zar “la venderà come una sua vittoria”.
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