di
Renato Franco

Sabato a Milano il comico sarà protagonista a Fuoricinema. «Il film della vita? Devo ancora girarlo. Mediterraneo era corale, mi piacerebbe trovare una storia che mi appartenga al 100%»

Ha mai avuto paura di non farcela?
«Agli inizi della carriera avevo rinunciato a una tournée con Dario Fo per fare un film che poi è saltato. Mi sono trovato disoccupato, senza soldi, ho fatto il cameriere, l’agente di viaggi. Ero disperato al punto da voler abbandonare».

Si è dato un’ultima chance?
«Prima del passo finale ho chiamato Rocco Tanica e in un pomeriggio è nata Rapput, la canzone che ironizzava sulla fedeltà di una ragazza in Grecia. È stato lo slancio per scrivere Guglielma (Che vita di melma), il mio esordio da comedian».



















































Claudio Biso sabato sarà a Milano sul palco di Fuoricinema per celebrare i 40 anni di Comedians, la pièce messa in scena da Salvatores e diventata un cult all’Elfo Puccini. «Nemico di classe fu il mio vero debutto teatrale, lì ho capito che forse avrei davvero fatto l’attore, non per hobby, non per scherzo, non di passaggio. Fu uno spettacolo di rottura, come lo è stato due anni dopo Comedians, in cui un impresario televisivo deve scegliere di assumere due comici su sei in una lotta al massacro. Il testo originale era di Trevor Griffiths, uno dei soli cinque trotskisti inglesi mai esistiti: una rarità».

Il cinema italiano invece che fase sta attraversando?
«Produciamo tanti film, ma forse la qualità è concentrata in pochi. Io sono uno spettatore onnivoro e qualche fregatura l’ho beccata. Ma non solo dagli italiani. Anche dal cinema francese che pure amo: mi sono imbattuto in diverse prove — diciamo — facoltative, che uno se le poteva risparmiare. Ma rimango ottimista e aspetterei prima di girare meno film, come qualcuno vorrebbe. Piuttosto cerchiamo di farli tutti belli».

Un film a cui ha detto no e si è mangiato le mani?
«Non è bello dire i titoli perché chi li ha fatti probabilmente scopre di essere stato la seconda scelta. Posso dire che mi è successo con Giuseppe Piccioni. Però è accaduto anche il contrario, con film che stavo perdendo, tipo Benvenuti al Sud».

Perché aveva rinunciato?
«Ero reduce da una lunghissima tournée teatrale, avevo i figli piccoli e non volevo perdere anche le vacanze. Poi è andata bene perché l’abbiamo girato a settembre. Se non fosse andata così mi sarei divorato i polsi».

In «La mia vita raccontata male» (che sarà per il terzo anno in tour da febbraio ad aprile 2026) ironizza anche sulla sua versatilità: come si passa da Brecht a Mara Venier?
«Non nego una certa voracità e bulimia. Ma mi piace anche sottolineare la mia curiosità, è la porta per attraversare diversi generi, per cercare l’alto e il basso».

Lei è poliedrico, ha una carriera piena di teatro, cinema e televisione. Ma a tutti manca sempre qualcosa. A lei cosa manca?
«Forse il film della mia vita ancora non l’ho girato. Mediterraneo è un film molto corale, sono legato a lavori come Benvenuto Presidente, Benvenuti al Sud, Si può fare… però mi piacerebbe trovare una storia che mi appartenga al 100%».

La sua idea di comicità?
«Deve essere sempre dissacrante, deve sporcare, imbrattare i muri, rompere le regole. Il comico deve creare disappunto, piacere a tutti non va bene. E comunque far ridere è la cosa più difficile del mondo, ma quando ti riesce non molleresti mai il palco».

Sorrentino sostiene che la creatività e il talento nascono dal dolore. Anche la comicità?
«Credo di sì e banalizzo il concetto: uno bello, alto, con gli occhi azzurri e i capelli biondi, è difficile che faccia il comico. Paolino Rossi è basso, io sono calvo, la fisicità storta, non canonica, è già un dolore, probabilmente aiuta».

5 settembre 2025 ( modifica il 5 settembre 2025 | 19:41)