Ancora un colpo della Cassazione alla strategia di contrasto all’immigrazione irregolare del governo basata sui Centri in Albania. In caso di mancata convalida del trattenimento in un Cpr, si legge in un’ordinanza della prima sezione penale, il richiedente asilo deve essere subito liberato e non può rimanere trattenuto in un Centro fino ad un massimo di 48 ore come prevede invece il decreto legge del 28 marzo scorso (Disposizioni urgenti per il contrasto all’immigrazione irregolare).
Una norma che, secondo i giudici della Suprema corte, viola sei articoli della Costituzione. E che la Consulta è invitata a vagliare.
L’ordinanza analizza un ricorso presentato dai legali di un senegalese che lo scorso 9 maggio è stato trasferito a Gjader. Il 14 giugno l’uomo ha formalizzato la domanda di protezione internazionale, respinta il 30 giugno dalla Commissione asilo di Roma.
Lo stesso giorno il questore della Capitale ha chiesto la convalida del trattenimento dello straniero nella struttura albanese. La Corte d’appello di Roma il 4 luglio non ha convalidato la richiesta e lo straniero è stato trasferito a Bari. Il 5 luglio il questore di Bari ha emesso un nuovo provvedimento di trattenimento del richiedente presso il Cpr del capoluogo pugliese per un periodo di 60 giorni prorogabile evidenziando la “pericolosità sociale” dell’uomo, che risultava condannato per tentato omicidio e traffico di droga.
La Corte d’appello di Bari ha accolto la richiesta. Salvatore Fachile, legale del senegalese, ha presentato ricorso in Cassazione, ponendo la questione di legittimità costituzionale di un articolo del decreto legislativo 142 del 2015 rinovellato dal decreto legge del 28 marzo scorso, invocando la sospensione del procedimento e l’immediata liberazione del ricorrente.
La Cassazione ha respinto il ricorso, segnalando però che la questione di legittimità costituzionale prospettata è “rilevante e non manifestamente infondata”. Nel mirino degli ermellini il decreto legge 37, che ha stabilito come la mancata convalida del trattenimento non precluda “l’eventuale successiva adozione di un provvedimento di trattenimento…qualora ne ricorrano i presupposti”.
E quando quest’ultimo provvedimento “è adottato immediatamente o, comunque, non oltre 48 ore dalla comunicazione della mancata convalida, il richiedente permane nel Centro fino alla decisione sulla convalida”. Ma così, segnala l’ordinanza, si profila una lesione della liberta personale in quanto “si prevede che un provvedimento di trattenimento che venga dichiarato dal giudice quale illegittimamente assunto (e che, per questa specifica ragione, risulti non convalidato dall’Autorità giudiziaria) non venga seguito dall’immediata liberazione dell’interessato, bensì possa avere la residua attitudine a legittimare la permanenza del migrante stesso all’interno del Centro per i rimpatri, per un successivo arco temporale anche ampio. Ciò in attesa che il questore si risolva, eventualmente, ad adottare un nuovo decreto di trattenimento”.
Per la Cassazione si viola anche il principio di uguaglianza perchè si consente la limitazione ex lege della libertà personale di un individuo solo perchè si trova in un centro di rimpatrio a differenza di chi invece è libero. La Corte solleva quindi un “incidente di costituzionalità” e trasmetterà gli atti alla Consulta, oltre che alla Presidenza del Consiglio ed ai presidenti di Camera e Senato. “Un tema particolarmente sensibile come quello della (ritenuta) illegittima restrizione della libertà personale – evidenziano i giudici supremi – non può che essere immediatamente sottoposto al vaglio della Corte costituzionale, là dove si ravvisi una torsione rispetto alle norme della Costituzione”.
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