Questo articolo è stato pubblicato la prima volta nella newsletter Global, a cui è possibile iscriversi qui

Per me è stata questa la maggiore sorpresa, nell’edizione di quest’anno del Forum Ambrosetti a Villa d’Este: un ottimismo sull’America in controtendenza rispetto agli umori europei. Per essere preciso, l’ottimismo veniva soprattutto da esponenti Usa. Ma senza un colore politico. Anzi, si divideva in due correnti: alcuni convinti che l’America andrà bene «malgrado» tutto ciò che fa Trump, altri invece certi che il successo Usa sarà anche merito delle sue politiche. Con una prevalenza dei primi. E una spiegazione dominante: il mondo sta entrando in una nuova rivoluzione tecnologica di portata storica, a dirigerla sono ancora e sempre gli Stati Uniti; la Cina insegue, l’Europa no.



















































È uno dei temi che raccolgo da questa edizione del Forum Ambrosetti a Villa d’Este (Cernobbio), a cui sto partecipando. Come spesso accade questo Forum è una buona opportunità per esporre un pezzo di classe dirigente italiana (imprenditori, banchieri, tecnocrati, accademici e politici) a visioni del mondo un po’ diverse, da angolature meno scontate e talvolta meno conformiste del solito. Questa edizione non delude le aspettative, credo ci sia qualcosa da imparare. Come al solito rispetto la «Chatham rule» che presiede ai lavori di questo Forum: salvo eccezioni autorizzate, si possono raccontare i contenuti ma non attribuire frasi virgolettate a questo o quel relatore. È una regola utile perché consente a personalità venute del resto del mondo di esprimersi con franchezza, perfino con brutalità. Vi condenso qui «la mia Cernobbio», una selezione personale di interventi che ho trovato utili per aprire gli orizzonti all’establishment italiano.

Ho capito che il copione stava prendendo una piega inaspettata, quando un celebre economista che per molti anni si era guadagnato la fama mondiale di una Cassandra, specialista nelle profezie apocalittiche, ha improvvisamente annunciato: l’America ce la farà. Non avrà una recessione, e l’impatto dei dazi sarà meno sconvolgente di quanto si temeva. La cosiddetta «eccezione americana» continuerà, perché siamo nelle fasi iniziali di una nuova rivoluzione industriale (non soltanto legata all’A.I., intelligenza artificiale, bensì estesa a molti altri settori) che vede questo paese in un ruolo trainante, e non conta chi sia il suo presidente di turno. 

APPROFONDISCI CON IL PODCAST

«Potrebbe esserci Topolino, alla Casa Bianca, e le cose andrebbero così»: ovvero, sono all’opera dei fattori strutturali di superiorità del modello americano. Infine l’ex-apocalittico ha aggiunto che il ruolo del dollaro è destinato a rimanere dominante, pure sul fronte monetario le previsioni di declino verranno smentite. L’economista appartiene alla corrente di quelli convinti che l’America vincerà nonostante Trump (le cui politiche lui generalmente condanna).
Ma questa è solo l’opinione di un economista, sia pure celebre, e clamorosamente convertitosi dal catastrofismo all’ottimismo. 

Più significativo è stato – sempre a Cernobbio – il pronunciamento di uno dei più grandi investitori del pianeta. Il suo parere ha un peso concreto: sposta centinaia di miliardi. Ha fatto un discorso molto simile. Mettendo al centro proprio l’intelligenza artificiale: una rivoluzione in grado di fornire a breve termine aumenti di produttività dell’ordine del 40%. L’A.I. continuerà ad alimentare la crescita Usa, ha detto il mega-investitore; mentre l’Unione europea si è tagliata fuori. Tra le ragioni, oltre alla perversa attitudine europea a iper-regolamentare tutto, consegnando un potere paralizzante ai burocrati, lui ne ha elencate altre due. Primo, in America c’è il più grande mercato dei capitali del mondo, il che significa che anche start-up e piccole imprese hanno accesso alle risorse necessarie per crescere moltissimo, mentre l’UE continua ad essere un mosaico di una ventina di mercati di capitali, nanerottoli frammentati e separati da barriere. Secondo, il costo dell’energia, di cui l’A.I. è una vorace consumatrice, e che l’UE rende proibitivamente cara con delle politiche Green irrealistiche e penalizzanti. Il mega-investitore sta nella corrente degli agnostici, non si è pronunciato in modo diretto su Trump, non gli ha attribuito meriti né demeriti particolare, ha preferito guardare «the big picture», il quadro generale di lungo periodo. Anche lui si è detto fiducioso pure sul dollaro, almeno nel lungo periodo, per la semplice ragione che l’incipiente rivoluzione tecno-industriale è un catalizzatore di investimenti azionari da tutto il mondo verso l’America.

L’imprevista ventata di ottimismo soffiava su Cernobbio proprio nel giorno in cui da Washington è arrivato un dato economico negativo. La creazione di nuovi posti di lavoro è stata modesta, asfittica, nel mese di agosto: solo 22.000 nuovi occupati al netto dei licenziamenti, un tasso di creazione di occupazione molto al di sotto della media dell’anno scorso. In diversi interventi degli esperti però si è affacciata una lettura prudente di questo dato. Quasi tutti hanno sottolineato che l’America è quasi in una situazione di pieno impiego, pertanto per aumentare molto l’occupazione dovrebbe importare forza lavoro straniera come faceva in passato, ma Trump ha ridotto molto l’immigrazione. (Su questo torno fra poco.) 

Inoltre il dato dal mercato del lavoro agevola il compito della Federal Reserve di ridurre i tassi e tagliare il costo del denaro.
Sul rallentamento nella crescita dell’occupazione Usa, e l’interpretazione da darne – cioè se sia un segnale di crisi, oppure una conseguenza automatica della lotta all’immigrazione clandestina – diversi relatori di Cernobbio scelgono la seconda lettura. 

È la stessa interpretazione che ne dà uno degli economisti più auorevoli dell’area MAGA (Make America Great Again), Oren Cass. Ecco una sua recente analisi sul tema:
«Una nuova analisi del Pew Research basata sui dati del censimento stima che la popolazione immigrata negli Stati Uniti, dopo essere aumentata di 11 milioni tra il 2020 e il 2025, sia diminuita di 1,4 milioni nella prima metà del 2025. Le implicazioni economiche di questa inversione sono profonde. Facendo rispettare la legge sull’immigrazione, l’occupazione e la crescita del PIL rallentano com’era prevedibile, poiché la crescita sana e continua dell’economia legale e permanente viene compensata dai cali nel segmento illegale ora in contrazione. Naturalmente, alcuni commentatori economici presentano il rallentamento come una conseguenza negativa di una politica sbagliata. La politica non è sbagliata, e la conseguenza non è negativa. Far rispettare la legge è necessario, la conseguenza è naturale. Una valutazione corretta impone di separare la vera performance dell’economia permanente dalle oscillazioni indotte dall’ondata di immigrazione illegale di massa. È vero che la crescita impetuosa della popolazione immigrata negli ultimi anni ha portato a una rapida espansione del mercato del lavoro. Ma così facendo ha permesso ai datori di lavoro di far crescere le proprie attività senza investire per aumentare la produttività, limitandosi ad assumere molti più lavoratori facilmente sfruttabili a salari bassi. Il flusso di manodopera a basso costo era ideale per soddisfare le esigenze delle imprese, sostenere la crescita del PIL e comprimere i salari. Gli effetti appaiono meno come una crescita benefica e più come una fiammata artificiale, un classico “sugar high” (euforia da zucchero seguita dal crollo). Sì, si possono generare dati più alti sull’occupazione e sul PIL consegnando permessi di lavoro a chiunque attraversi il confine. Si può ottenere un effetto simile legalizzando l’eroina e chiedendo a tutti i rivenditori di compilare il modulo fiscale della dichiarazione dei redditi. In nessuno dei due casi si migliorano le prospettive economiche a lungo termine della nazione o il benessere delle famiglie americane tipiche. Negli anni 2022–2024 circa la metà della crescita occupazionale, e una quota sostanziale della crescita del PIL, durante l’amministrazione Biden, è derivata dal caos alle frontiere più che da un successo nel rafforzare i fondamentali economici. Se l’obiettivo è semplicemente massimizzare il numero totale di lavoratori in un Paese e il PIL che producono, allora sì, far rispettare la legge sull’immigrazione è costoso. Ma il vero obiettivo dovrebbe essere un altro, un’economia che offra lavori capaci di sostenere le famiglie americane, aumentando produttività e salari. Gonfiare i numeri senza raggiungere questi obiettivi, costruendo invece un’economia temporanea e illegale su fondamenta instabili, è una forma di frode. Ripulire il caos forse non fa una bella figura nei dati, ma piace al cittadino comune».

6 settembre 2025, 08:56 – modifica il 6 settembre 2025 | 09:23