di
Vittoria Melchioni
Lo chef trentino torna in tv: «Nella mia brigata non c’è bisogno di umiliare o insultare. Ma questa generazione è senza nerbo: si sentono arrivati postando una ricetta su TikTok»
Tra pochi giorni riprenderà il suo posto a fianco di Antonella Clerici a «È sempre mezzogiorno» su Rai 1, ma intanto Cristian Bertol si gode la sua Ronzone, in provincia di Trento, dove, quest’estate, a Villa Orso Grigio ha accolto tantissimi turisti desiderosi di assaporare la sua cucina dal cuore trentino.
Questa sarà la sua diciottesima stagione con Antonella Clerici, un bel record. Non si è stancato della tv?
«No, anzi, ho tante idee per la testa. Quando Antonella iniziò, non c’erano tanti programmi di cucina come ora. Il suo è un format rimasto autentico nonostante l’arrivo di Masterchef, di Hell’s Kitchen di Gordon Ramsay, di Cucine da Incubo. Trasmissioni che a mio avviso hanno dato una visione distorta di quanto accade in cucina».
Ci spieghi.
«Credo che, per i ragazzi che vogliono intraprendere il nostro mestiere, gli chef siano dei punti di riferimento e tutto quell’urlare, insultare, umiliare non fa per me. È vero che per arrivare a certi livelli bisogna sputare sangue, ma non è che il cuoco bravo deve essere per forza un antipatico arrogante. Con i miei ragazzi sono tranquillo e rilassato perché ho notato che più stresso la mia brigata, più rende di meno. Chi lavora con me diventa parte della mia famiglia».
Anche lei ha riscontrato una crisi nel trovare personale?
«La pandemia ha cambiato il mondo. Ora fai fatica a trovare qualcuno disposto a lavorare tutte le ore necessarie per stare in cucina. Vogliono i week-end liberi. Purtroppo, questa generazione è un po’ senza nerbo».
Ne fa un fatto generazionale?
«Un po’ di colpa ce l’hanno anche i genitori che ora sono un po’ troppo protettivi. Mio figlio Brian, che ha 13 anni, viene in cucina con me ed anche bravo e quando fa le cose per bene glielo dico, ma se non le fa bene viene sgridato come tutti gli altri. Non come faceva mio padre con me che, quando conquistai la mia prima stella Michelin, mi disse: “Una ce l’hanno tutti, per essere qualcuno devi averne almeno due”. Tempo fa ho ritirato un premio che mi hanno conferito in una scuola alberghiera: i ragazzi erano interessati solo a sapere quanto si guadagna con un ristorante e nessuno di loro durante l’estate era andato a fare la stagione da qualche parte. Tutti al mare a divertirsi. Non prendo più stagisti anche per quello, perché sono stanco di fare l’assistente sociale di persone che si esauriscono se lavorano durante il fine settimana. Non cucinare per tre mesi per uno chef è come non allenarsi per tre mesi per un calciatore. Ora si sentono arrivati postando una ricetta su TikTok con centinaia di migliaia di visualizzazioni senza capire che chi arriva con quel mezzo è il 2% di tutti quelli che ci provano».
Come riesce a far convivere la sua presenza in tv con quella in cucina all’Orso Grigio?
«Uno dei problemi che si generano quando diventi noto in tv è che poi manchi dal ristorante per essere in studio. Io ho risolto viaggiando di notte. Non sono mai mancato una sera dal mio locale. Chi viene nel tuo ristorante e paga determinate cifre, crede che ci sia tu dietro ai fornelli e sarebbe giusto che fosse così, altrimenti non è corretto. Se devo essere in tv e non riesco a tornare, chiudo. Non perché non ho fiducia nella mia brigata, ma perché la gente viene qui per me, vuole vedere me».
E si fanno un bel po’ di chilometri per venire da lei.
«Non cambierei mai nulla con la mia Val di Non, con la mia Ronzone, se mi vogliono devono venire qui e ci vengono da New York, dal Basile, dalle Isole Aran, da Israele…».
Com’è cambiata la cucina in questi anni?
«Credo più nella costanza del mantenere la tradizione ad alto livello, che nel cambiamento. Per parafrasare una frase di Coco Chanel: “la moda cambia, la tradizione resta”. La presentazione può variare, puoi provare a contaminare ricette classiche sempre con prodotti del territorio, testando nuovi gusti, ma alla fine la gente vuol mangiare i canederli e devi farli a regola d’arte».
Qual è una ricetta che ora le chiedono spesso?
«Il carpaccio di canederli, per l’appunto. Faccio l’impasto per i canederli, ma lo modello a forma di salsicciotto, lo cuocio, lo raffreddo, lo metto sottovuoto e lo taglio come un carpaccio e poi lo condisco. Anche una zuppa con tutti i prodotti dell’orto di mio padre».
Ha uno chef di riferimento?
«Nadia Santini del ristorante “Dal Pescatore” di Canneto sull’Oglio, la adoro. Mi disse: “Ricordati sempre che un piatto deve piacere agli occhi, essere buono al palato e devi digerirlo bene”».
Ha detto di avere molte idee in testa, ci può svelare qualcosa?
«Quest’anno, anche da Antonella, voglio puntare molto sulla cucina della mia montagna per farla conoscere meglio. Come ho fatto durante le riprese di “Camper”, voglio far conoscere i piccoli produttori con i loro prodotti di nicchia. La montagna è sottovalutata o è data troppo per scontata: non siamo solo polenta e funghi».
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6 settembre 2025 ( modifica il 6 settembre 2025 | 08:36)
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