di
Guido Olimpio
Caracas ha inviato un paio di caccia F 16 a sorvolare un’unità statunitense ma l’America aveva già spedito droni, aerei spia, navi, corazzati e migliaia di militari nel Golfo del Messico e a Sud con l’intento di fermare l’immigrazione clandestina
Guerra di parole accompagnata da movimenti militari: così duellano Stati Uniti e Venezuela in un’area dove può accadere di tutto.
Una diretta conseguenza dell’affondamento di un battello di presunti narcos da parte americana.
Dopo questo episodio, Caracas ha inviato un paio di caccia F 16 a sorvolare un’unità statunitense parte della task force mobilitata da Washington come forma di pressione su Nicolas Maduro. La sortita ha portato a una reazione dello stesso Donald Trump: se la cosa dovesse ripetersi siamo pronti ad abbattere i velivoli. Nel frattempo, ha disposto lo schieramento in una base di Porto Rico di dieci F 35, aerei che sono andati ad affiancare i droni Reaper usati per colare a picco lo scafo. L’impiego di caccia così sofisticati aumenta le opzioni di intervento e, secondo la CNN, non è escluso che nei prossimi giorni ci possano essere strike persino sulla terra ferma.
Maduro, durante una manifestazione, ha lanciato un doppio messaggio. Da un lato ha parlato di “fase di lotta armata” in caso di aggressione, dall’altro ha osservato che le differenze con l’avversario non giustificano un conflitto, e tantomeno un cambio di regime. Contro-replica di The Donald. Alla domanda di un giornalista se l’obiettivo è rovesciare Maduro ha precisato: «Non ne stiamo parlando», ma «stiamo parlando del fatto che (il Venezuela, ndr) ha avuto delle elezioni, che sono state delle elezioni molto strane, per usare un eufemismo». Una mezza smentita o una mezza conferma, dipende da come si interpreta il pensiero del presidente, compito arduo viste le continue piroette.
Non c’è dubbio, però, che il neo-ribattezzato dipartimento della Guerra ha schierato una formazione ampia al largo delle coste venezuelane. Una decina di navi, ognuna con caratteristiche specifiche: possono lanciare missili da crociera, attuare operazioni anfibie, appoggiare l’azione di 4 mila marines, fiancheggiare strike. La loro mobilitazione è stata presentata come parte della strategia per contrastare i narcos e lo stesso governo Maduro, accusato dalla Casa Bianca di essere alleato dei trafficanti. Le caratteristiche della flottiglia sono ben altre: parliamo di mezzi da impiegare in missioni belliche e non come supporto ai “doganieri”.
La distruzione della “lancia” veloce e l’uccisione – secondo gli Usa – di undici persone che erano a bordo ha rappresentato un cambio di passo significativo, una escalation pericolosa e priva di giustificazioni legali. Inoltre, diversi osservatori hanno avanzato perplessità sulla ricostruzione ufficiale fornita da Washington. Ma il Pentagono è deciso ad andare avanti e il segretario Pete Hegseth ha detto chiaramente che è l’inizio di una campagna.
Più sfumata la posizione del capo della diplomazia Marco Rubio che, pur confermando la volontà di portare colpi duri, ha presentato uno scenario diverso: ci saranno incursioni solo contro trafficanti di paesi che non collaborano. Il distinguo del “ministro” è pungolo sui governi latino-americani affinché muovano con determinazione. Infatti, Rubio lo ha pronunciato dopo una visita in Ecuador e in Messico, tappe con sviluppi interessanti. Quito ha già aperto le porte a un coordinamento stretto mentre Washington ha applicato la definizione di terroristi ai Los Lobos e i Los Choneros, gruppi narcos locali molto aggressivi.
Nella capitale messicana, l’inviato americano, invece, ha posto le basi per un’azione comune contro i criminali. Un patto – hanno indicato i protagonisti – nel rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale, con una “responsabilità condivisa”. Garanzie richieste dalla presidente Claudia Sheinbaum preoccupata delle intenzioni del vicino. Trump ha autorizzato di recente il Pentagono e la Cia a eliminare i boss della droga, ordine che dovrebbe riguardare anche i leader dei cartelli dall’altro lato del Muro.
E ben prima della crisi venezuelana gli Usa hanno accresciuto la presenza nel Golfo del Messico e sul confine sud spedendo droni, aerei spia (compreso il celebre U-2), navi, corazzati e migliaia di militari. Un deterrente per fermare l’immigrazione clandestina che ha però suscitato timori di azioni ben più profonde.
6 settembre 2025 ( modifica il 6 settembre 2025 | 19:31)
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