Un vernissage intenso, tra visioni e immaginazioni, ha accolto ieri pomeriggio, venerdì 5 settembre, il pubblico di Villa Belvedere Radicati, sulla collina di Saluzzo durante la presentazione di  ‘They used to…’, la prima mostra fotografica di Daria Abashkina, giovane artista cuneese, classe 1995, curata dalla storica dell’arte Ida Isoardi e promossa dall’associazione “Arte, Terra e Cielo”.

L’inaugurazione introdotta da Giuliana Mussetto presidente dell’associazione ‘Arte Terra e Cielo’ con Alessia Clema, presentata dalla curatrice Ida Isoardi a cui ha presenziato Francesca Neberti vicesindaca di Saluzzo, ha avuto come sottofondo musicale le note di tre giovani musicisti del Conservatorio ‘Ghedini’ di Cuneo.

Le 27 fotografie saranno esposte fino al 26 ottobre e visitabili nelle domeniche e nei giorni festivi.

Il titolo, ‘They used to…’, significa ‘loro erano soliti’ e evoca appunto abitudini e situazioni che un tempo erano reali, ma che oggi non esistono più.

È la chiave di lettura dell’intera esposizione: luoghi abbandonati, svuotati dalle persone, ma non dal loro vissuto.

“Per me – spiega l’artista – è un modo per restare in contatto con le storie degli altri, accarezzando i segni che il tempo e le vite passate hanno lasciato dietro di sé”.

Il percorso si sviluppa in quattro sezioni che raccontano di vita vissuta di luoghi non più luoghi o di oggetti non più utilizzabili.

They used to study here: aule scolastiche polverose, banchi disallineati, corridoi invasi da un silenzio irreale. Scatti che riportano in vita le voci dei ragazzi che un tempo li hanno abitati.

They used to work here: fabbriche e officine dismesse, dove la ruggine diventa pelle del tempo. Gli ingranaggi fermi, le vasche colme di acqua verdastra come cieli stellati, evocano un’energia trattenuta.

They used to live here: stanze domestiche, cucine, finestre spalancate su giardini incolti. Sedie vuote attraversate da lame di luce che sembrano incapaci di vincere il buio.

They used to play here: un teatro abbandonato con i velluti rossi logori, i palchi deserti distrutti e polverosi, le quinte che ancora sussurrano ricordi di opere liriche e spettacoli di un tempo.

Ogni immagine non si limita a registrare muri scrostati, auto arrugginite e distrutte, ma restituisce la sensazione di vite sospese, di memorie pronte a riaffiorare.

Ogni scatto diventa poesia perché accanto a ciascuna fotografia, Daria Abashkina ha voluto aggiungere un breve scritto, simile a un ‘haiku’ giapponese.

Non titoli, né didascalie, ma pensieri che si intrecciano con le immagini e ne amplificano le suggestioni. “Non vogliono spiegare – racconta l’artista – ma evocare ciò che ho provato di fronte a quei luoghi”.

A completare le opere, piccoli oggetti raccolti nei mercatini: orologi antichi, tazze, compassi arrugginiti e altri ninnoli. Ricordi concreti che diventano simboli, appesi come talismani sonori alle cornici delle foto.

“Gli oggetti appesi sotto le mie fotografie – spiega Daria Abashkina durante il vernissage – sono come ‘le furin’ (campanelle estive giapponesi), che con il loro ‘batacchio’ e il cartoncino poetico, dialogano con gli scatti, richiamando la fragilità del tempo che passa”.

Il progetto intreccia due livelli: sociale e intimo. Da un lato, la denuncia dello spreco edilizio: “In Italia – osserva Abashkina – si contano oltre milioni di edifici abbandonati. È un patrimonio in rovina che porta con sé degrado e incuria”.

Dall’altro, la dimensione personale e filosofica: “Mi interessa conservare la memoria, raccontare quella nostalgia che appartiene a ciò che non è più nostro, ma che continua a parlarci”.

Alcuni scatti mostrano automobili arrugginite nei campi, ormai abbracciate dalla vegetazione, simboli di una natura che si riprende ciò che le era stato sottratto. Altri fissano piscine abbandonate con vista sul mare, immagini che mettono insieme l’idea del lusso e del declino.

In ogni caso, la fotografia diventa filtro: “Non si tocca, non si sposta, non si distrugge nulla”, ribadisce l’artista, in un’epoca in cui ‘l’urbex’ rischia spesso di degenerare in vandalismo.

Abashkina, laureata alla Scuola Holden in scrittura creativa, porta avanti un percorso artistico che va oltre la fotografia.

Sta lavorando alla sceneggiatura del cortometraggio ‘Nihil’, in fase di realizzazione, dedicato al rapporto tra intelligenza artificiale e fragilità mentale.

Con ‘They used to…’, però, la sua sensibilità trova una forma visiva di forte impatto. Le inquadrature, talvolta dall’alto, con prospettive vertiginose, generano spaesamento ed inquietudine, rivelando un’attenzione morale oltre che estetica.

Sono immagini che non si limitano a documentare, ma interpretano.

La mostra è dunque un’esperienza immersiva, che porta i visitatori a guardare oltre quanto rappresentato dall’immagine per scoprire luoghi e oggetti che hanno fatto la loro epoca che normalmente resterebbero nascosti che attraverso gli scatti della fotografa e l’interpretatore di chi li guarda paiono tornare a nuova vita.

Apertura: domenica e festivi, dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 19.

Per informazioni: https://www.villabelvedereradicati.it/

Info sul sito: villabelvedereradicati.it o in mail ai seguenti indirizzi: associazione.arteterracielo@gmail.com / info@villabelvedereradicati.it