La Ferrari ha preparato il GP d’Italia con l’obiettivo di centrare le pole position. I tecnici del Cavallino hanno scommesso su un’altezza da terra minima su una pista come quella di Monza che è un biliardo. Nei compiti fatti a casa a Maranello, quindi, hanno deliberato un setup molto aggressivo: la macchina “inchiodata” al suolo, affinché esprimesse il carico aerodinamico che normalmente non è in grado di generare per paura che il plank possa consumarsi troppo, doveva essere accompagnata da ali particolarmente scariche. 

La motivazione? Dare una risposta dovrebbe essere facile: profili con meno corda e incidenza permettono di ridurre la resistenza all’avanzamento per cercare le velocità massime nei lunghi rettilinei. Questa è la realtà ben nota che rende il tempio della velocità un appuntamento diverso da tutti gli altri in calendario. Ma nel Reparto Corse hanno preparato la corsa tricolore cercando anche un altro obiettivo molto importante. 

Per assicurarsi una monoposto radente la pista che non strisciasse la tavola per terra era obbligatorio deliberare delle ali con la minima spinta verticale. Certo per trovare i picchi di velocità, ma, soprattutto, per evitare che, con il crescere della downforce, ci potesse essere uno schiacciamento della vettura sull’asfalto, riproponendo il problema endemico della SF-25 che era venuto alla ribalta della cronaca con l’esclusione di Lewis Hamilton nel GP della Cina. 

Charles Leclerc, Ferrari

Charles Leclerc, Ferrari

Foto di: Zak Mauger / LAT Images via Getty Images

L’usura del pattino è l’incubo che accompagna quest’anno i ferraristi: sappiamo che il carico aerodinamico con le monoposto a effetto suolo è determinato al 60% dal fondo e per il restante 30% dalle due ali (15% anteriore e 15% posteriore). È fin troppo facile comprendere che quanto più lavora il corpo vettura, tanto meno c’è l’esigenza di disporre di profili carichi. Monza è una pista di sola efficienza, per cui la Scuderia ha portato in Brianza due versioni di ala posteriore. È stata ripresa quella dello scorso anno che aveva permesso a Charles Leclerc di vincere davanti a Oscar Piastri, con un profilo principale piatto e un flap minimo, tanto che l’efficacia del DRS è ridotta ai minimi termini, con risultati residuali. 

Sarebbe bastata la soluzione nota per centrare l’altezza cercata in galleria del vento, oppure era necessario ridurre ulteriormente la spinta verticale per rientrare nei parametri che permettevano di generare il carico necessario a sfidare le McLaren? 

Charles Leclerc, infatti, ha girato nelle libere con un flap mobile trimmato, vale a dire tagliato parzialmente nel bordo d’uscita, proprio per ridurre ulteriormente non solo il drag, ma anche lo schiacciamento della rossa a terra. 

Lewis Hamilton, Ferrari

Lewis Hamilton, Ferrari

Foto di: Federico Manoni / NurPhoto via Getty Images

Lewis Hamilton, invece, era partito con il setup aerodinamico più carico, salvo poi convergere verso le scelte del monegasco. Ma entrambi i piloti si sono trovati a guidare una SF-25 certamente veloce, ma anche impegnativa tanto in staccata che nella percorrenza delle varianti. 
E nella realtà monzese è emerso quanto per i tecnici diretti da Diego Tondi la coperta fosse diventata corta.

Per le qualifiche, infatti, è stata deliberato un assetto di compromesso: si è rinunciato all’ala più estrema e si è dovuta alzare di un pelo la macchina. Stiamo parlando di differenze non facilmente visibili a occhio che, però, hanno avuto un effetto sulle prestazioni del giro secco. 

Al netto che Leclerc non ha goduto di una scia proprio come gli altri avversari (è lui che l’ha data a Hamilton!) che erano in lotta per la pole position, trovano una giustificazione i 215 millesimi di distacco presi da Charles su Max Verstappen che ha “inventato” uno dei suoi giri magici. Nel box della rossa devono aver pensato alla gara, nella convinzione di proteggere le gomme da un inevitabile scivolamento che si sarebbe registrato con l’ala più trimmata, consapevoli che stavano rinunciando alla prestazione più estrema. 

L'ala posteriore trimmata della Red Bull che ha permesso a Verstappen di siglare la pole position a Monza

L’ala posteriore trimmata della Red Bull che ha permesso a Verstappen di siglare la pole position a Monza

Foto di: Beatrice Frangione

L’operazione tentata dalla Ferrari è riuscita, invece, alla Red Bull: la squadra di Milton Keynes nel corso della FP3 del mattino ha limato il bordo d’uscita del flap mobile per trovare qualche chilometro di velocità in più: alla speed trap Max è arrivato a 348,6 km/h, pagando solo 2,3 km/h con Leclerc, ma risultando più veloce di 2,9 km/h di Lando Norris. 

L’olandese se l’è cavata anche nel tratto più guidato (il T2), mentre la rossa è andata perdendo performance verso la fine del giro, dopo essere stata pari a Max fino a Lesmo 2, sebbene avesse già concesso qualcosina alla Roggia. La RB21 non ha i problemi generati dal consumo del plank e può azzardare soluzioni che Maranello, invece, non si può concedere. Il monegasco l’anno scorso era partito dalla seconda fila proprio come domani, ma al netto del talento di Leclerc, capace di “inventare” gare inattese, il contesto sembra molto diverso. Il sogno ferrarista doveva sbocciare già in qualifica e trovarsi davanti Super Max e le due McLaren renderà l’impresa più complicata, dovendo fare i conti con una rossa che è frutto di scelte di compromesso, mentre Red Bull e McLaren non hanno esitato ad estremizzare i loro concetti.  

La Red Bull ha cercato la velocità, mentre la squadra di Woking scommette sulla percorrenza delle Varianti e, soprattutto, nel risparmiare le gomme posteriori in Parabolica. La partita è aperta e appassionante. La Scuderia si deve aggrappare al talento del suo pilota. Basterà?  

Leggi anche:

In questo articolo

Diventa il primo a sapere le novità e iscriviti per ricevere notizie in tempo reale via e-mail su questi temi

Iscriviti agli avvisi di notizie