Divisi tra la costruzione di una nuova identità e la salvaguardia di un mondo che sta scomparendo, gli autori e le autrici della nuova letteratura africana della diaspora sono lo specchio di una società in movimento che non vuole rinunciare alle proprie radici. In questo Il sogno del pescatore, pubblicato dalle Edizioni e/o, della pluripremiata scrittrice camerunense Hemley Boum, dove si racconta della fuga per motivi economici e sociali di una serie di personaggi dal villaggio di Campo nella zona più a Sud del Camerun, emerge come le vite nuove che si vanno a costruire in Europa, nel caso in Francia, non possono prescindere dalle proprie origini. Hemley Boum è nata nel 1973 a Douala, in Camerun. Ha studiato Antropologia prima di spostarsi a Lille per completare i suoi studi in International Business. Ora vive nei dintorni di Parigi.
Autrice prolifica e molto apprezzata dalla critica, ha scritto diversi romanzi, e ha ricevuto numerosi premi. Con Il sogno del pescatore ha vinto, tra gli altri, il Grand Prix Afrique 2025, il Prix Louis Guilloux 2024 e il Prix Albert Bichot 2024 – Livres en vigne. Protagonista del libro è Zack, fuggito dal Camerun a diciott’anni abbandonando la madre Dorothée. Zack come molti migranti insegue un sogno che alla fine sembra aver realizzato. Diventato psicologo clinico a Parigi, sposato e padre di famiglia, si trova però a fare i conti con il suo passato, proprio quando la vita che si è costruito fa acqua da tutte le parti. Qualche decennio prima suo nonno Zacharias, pescatore in un piccolo villaggio della costa, vede il suo stile di vita tradizionale stravolto da una potente compagnia per lo sfruttamento forestale e sogna un futuro diverso per la sua famiglia. Un gioco di riflessi tra un personaggio e l’altro, un continuo avanti e indietro tra passato e presente. Con queste storie abilmente intrecciate che travalicano il tempo e i luoghi, Hemley Boum crea un ritratto potente, che raffigura sia i rimorsi dell’anima che i misteri dell’eredità familiare, fino all’ ottenimento di una nuova identità che sa finalmente coniugare il passato e la nuova modernità. Fabio Poletti
Hemley Boum
Il sogno del pescatore
traduzione Alberto Bracci Testasecca
2025 e/o
pagine 304 euro 18,50
Per gentile concessione dell’autrice Hemley Boum e dell’editore e/o pubblichiamo un estratto dal libro Il sogno del pescatore
A lungo la mia reticenza a crescere si rispecchiò nel mio fisico. Fino ai sedici anni ero rimasto un ragazzino glabro dall’aspetto esile, poi la voce mi cambiò e nel giro di pochi mesi mi alzai di vari centimetri. Crebbi di colpo e, senza preavviso, l’innocenza infantile lasciò il posto all’adolescenza e ai suoi tormenti, alle sue attese e alle sue febbrilità. La complicità tra me e Dorothée non sopravvisse al mutamento.
Mia madre smise di tagliarmi i capelli facendomi sedere sulle sue gambe. Andò al mercato dell’usato di Nkololoun e comprò un materasso corredato da lenzuola e coperta. «È per te, ormai sei troppo grande per dormire con la mamma. Prenditi il letto, io dormirò per terra sul vecchio materasso». Insistei per lasciarle il letto, ma ovviamente rifiutò.
I miei sentimenti nei suoi confronti si erano deteriorati. Da adolescente vissi come un’intollerabile reclusione la dipendenza che da bambino adoravo. Mi sentivo stretto nel nostro isolamento interrotto solo dal passaggio degli zietti che si chiudevano la patta sulla porta. Avevo imparato cosa fosse un affitto e come mia madre provvedesse al nostro recandosi più volte al mese a trovare Amigo, il proprietario del negozio in cui tutti compravano le più svariate mercanzie nonché delle baracche fatiscenti che affittava ai poveri diavoli vomitati dalla campagna circostante nella luce ingannevole di Douala. Ormai sapevo come mamma mi pagasse gli studi: offrendo al direttore delle elementari, e poi al preside del liceo, gli stessi servizi che offriva al padrone di casa. Capii anche come facesse ad avere informazioni particolareggiate sul mio andamento scolastico anche se con me non ne parlava mai.
Dorothée non aveva mai fatto un lavoro onesto in vita sua. Dormiva, si prostituiva, si assicurava che mangiassi e studiassi e una volta al mese mi tagliava i capelli. Non aveva energia per fare altro. L’unica moneta di scambio di cui disponeva era il suo corpo, che peraltro distruggeva metodicamente con alcolici di pessima qualità. Stavo diventando un giovanotto e la mia adorazione per mamma si andava mutando in qualcosa di più complicato. L’odore particolare di sapone e sesso che appestava ogni angolo della stanza che condividevamo mi dava la nausea. Sì, era sesso. Ormai ero abbastanza grande da non poter più negare ciò che avevo sempre saputo, e ne ero disgu- stato. Per non dovermi confrontare con quell’atmosfera sparivo intere ore con Achille ritardando quanto possibile il momento in cui sarei stato costretto a tornare da Dorothée. Avevo conosciuto Nella, stavo diventando un uomo, e quel luogo mi ripugnava. Entrare, mettermi a letto e addormentarmi mi dava la sensazione di tornare ogni sera nella pancia di mia madre. Repulsione abissale.
Dorothée mi aveva ceduto il letto e dormiva per terra sul vecchio materasso. Mi abituai a scavalcare il suo corpo addormentato, sia quando mi alzavo la mattina per andare a scuola, sia quando tornavo tardi la sera. In quei momenti mi capitava di augurarmi che non si svegliasse più. Non potevo fare a meno di chiedermi dove lo facesse con i clienti quando non c’ero. Fabbricavo trappole che speravo invisibili per capire se usassero il mio letto. Non scoprii niente, tantomeno l’odore maledetto, ma non mi bastò. Sospettavo che mia madre aggirasse i sotterfugi da me escogitati per assicurarmi che la mia intimità fosse preservata. Mi pareva quasi di vederla mentre spostava il materasso nuovo in un angolo, lo sostituiva con il suo quando doveva ricevere un cliente, poi rimetteva tutto a posto con precisione millimetrica. Quell’alternanza di materassi mi era insopportabile, perché confermava definitivamente il fatto che non ci lasciavamo più ingannare l’una dall’altro. Il nostro rifugio di cauto silenzio era stato corrotto per sempre da indegnità che nessuna tenerezza poteva consolare. Una volta aperti gli occhi era impossibile non vedere.
Quando mi è stata offerta l’occasione di andarmene sono scappato. Sull’aereo che mi portava lontano ho avuto la sensazione di respirare a pieni polmoni per la prima volta in vita mia e ho pianto di sollievo. A cercare di salvare suo malgrado la persona amata si può morire di mille morti e poco per volta. Avevo fatto scudo a Dorothée con il mio corpo, le avevo dato il mio silenzio complice, il respiro attento delle mie notti di bambino e, crescendo, i soldi che mi fruttavano i furtarelli, ma non ero riuscito ad ancorarla alla vita. Pensavo che non l’avrei mai lasciata, ma quando i casi della vita mi costrinsero a farlo ebbi ben poche esitazioni. Era o lei o me. Presi la decisione per il bene di entrambi.
Titolo originale: Le rêve du pêcheur
© Éditions Gallimard, Paris, 2024
© 2025 by Edizioni e/o
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