Oggi a una superpotenza non basta l’uso della forza per stabilire un nuovo ordine mondiale, a sua immagine e somiglianza. Serve il controllo delle materie prime e della tecnologia, con relativo know how. E, ovviamente, servono tanti soldi. Il summit Sco di Tianjin e la parata militare in piazza Tienanmen di fronte a Xi Jinping ci hanno portati alla conclusione che la Cina, insieme a Russia, India e altri mercati emergenti, sia davvero pronta per un nuovo grande balzo in avanti. A sua volta, Putin ha tirato l’ennesima bordata, ieri, da Vladivostok all’Occidente. Durante il Forum economico orientale, il presidente russo ha ipotizzato l’unificazione degli strumenti di pagamento Russia-Cina per semplificare i viaggi turistici. In parole povere, si tratterebbe di un’apertura delle frontiere per rendere più agevoli le transazioni finanziarie tra una superpotenza con ambizioni imperialistiche e un’altra in declino, isolata a causa della guerra in Ucraina.
Al di là delle intenzioni, è possibile una vera autonomia finanziaria Pechino-Mosca, rispetto alla situazione corrente? Quel processo di dedollarizzazione di cui si parla da mesi, in parte alimentato dalle provocazioni di Trump, all’atto pratico ha un senso? La Cina detiene circa un quarto delle riserve di dollari al mondo, intorno ai 3,3 trilioni di biglietti verdi. Dopo di lei c’è il Giappone. Anche la Russia aveva il suo tesoretto, che con il conflitto si è assottigliato. Gli Usa non sono così ricchi di bigliettoni. Ma sono loro a batterli. E comunque la loro potenza sta nel fatto che il dollaro sia moneta di scambio globale.
È possibile che Pechino rinunci alle sue riserve per rafforzare il suo renminbi/yuan? «Ci rimetterebbero – spiega Giorgio Arfaras, economista del Centro Einaudi e da poco in libreria con “Breve storia dell’economia” (Salani editore) – la vendita delle obbligazioni ne farebbe innescare una svalutazione. C’è poi da dire che il dollaro lo accettano tutti. Non è lo stesso con lo yuan. Tantomeno con il rublo. Le riserve non sono altro che gli avanzi commerciali dei diversi Paesi. La Cina ha scambi commerciali incredibili con gli Usa. Le sue riserve monetarie sono proporzionate al flusso di merci Oriente-Occidente».
Il messaggio trasmesso dalla Sco andrebbe letto con altre lenti, quindi, che ridimensionano l’effettiva potenza dei Paesi partecipanti. D’accordo l’elemento militare. Lo stesso è per la stabilità politica. Almeno per quanto riguarda la Cina e sul breve-medio periodo. Altra storia è pensare che l’Occidente possa essere sostituito in maniera tanto rapida. Nonostante le sue debolezze. «Ci sono cinque condizioni affinché un regime possa esercitare un’influenza davvero globale – spiega Arfaras – Il Paese che detiene la moneta di riserva deve avere una forza militare in grado di scoraggiare ogni tentativo di conquista o influenza. Deve saper minacciare chi non sta alle regole del suo gioco attraverso il sequestro di beni». La certezza del diritto è indispensabile per la fiducia dei mercati.
«C’è poi la tecnologia», prosegue l’economista. Ricerca e conoscenza sono un vantaggio, in tempo di pace e come deterrente a un conflitto. La transizione digitale in corso ha accentuato questo elemento. «Altrettanto il tema dell’autosufficienza alimentare. In caso di guerra protratta, il Paese con la moneta di riserva deve avere le risorse sufficienti per sopravvivere». Infine, si arriva al nocciolo del problema: «Il Paese dominante – dice Arfaras – necessita di mercati finanziari molto liquidi in grado di assorbire gli eventi negativi». Gli anticorpi a una crisi sono dati dalla resilienza della moneta stessa. Il dollaro, dal 1929 in poi, ha sì incassato colpi, ma ha saputo reagire. Quali altre monete, nella storia del capitalismo, sono arrivate a tanto?
Ora, delle cinque condizioni, la Cina ne soddisfa quasi due. Come pure la Russia. Ovvero la potenza militare e quella tecnologica, per Pechino. Che però esporta quasi tutto. Quindi, senza un mercato estero di riferimento e i consumi interni ridotti all’osso, la sua supremazia digitale sarebbe ridimensionata. Discorso simile per la Russia, forte del suo esercito e delle sue risorse agricole. «In realtà, nulla in confronto a quelle ucraine. Almeno stando al rapporto popolazione/terre coltivabili. Da qui il motivo del conflitto». Sulla garanzia del diritto, né Pechino né Mosca possono vantare la superiorità rispetto all’Occidente. Al contrario, Europa e Stati Uniti rispondono in maniera virtuosa a quasi tutte le condizioni. «Ovvio, l’Europa non è in grado di intervenire militarmente nel mondo. Tuttavia, non può essere invasa. Dal 1945 a oggi, si è creato lo spazio di una specie di Super Svizzera». Ma è la quinta condizione a confermare il vantaggio dell’Occidente. «Non c’è partita tra la struttura finanziaria degli Usa e quella di Cina e Russia». Le manovre anti-occidentali possono sì portare delle variazioni marginali dell’uso della valuta di riserva, ma non a dei cambi sostanziali.
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Antonio Picasso