In tema di permessi legge 104, la giurisprudenza della Cassazione si arricchisce di sentenze sempre nuove, a riprova di quanto l’argomento sia spesso fonte di dispute giudiziarie. Da un lato, infatti, i datori sono molto attenti a valutare la correttezza dell’uso di queste agevolazioni, mentre – dall’altro – i dipendenti non sono talvolta così rispettosi delle norme di legge, dando spazio a contestazioni dell’azienda nei loro confronti.
A riprova di ciò, c’è una recente sentenza della Suprema Corte, la n. 23185, che ha affermato un principio di tutela per il personale che si avvale dei permessi 104 per assistere familiari disabili gravi. Vediamo allora in sintesi la vicenda e la decisione giudiziaria che ne è derivata, spiegandone la portata generale per tutti i datori e lavoratori.
Il caso concreto, la contestazione dell’azienda e l’esito dell’appello
Un dipendente aveva subito la massima sanzione disciplinare, vedendo troncato il proprio rapporto di lavoro dopo l’accertamento di alcuni fatti che lo riguardavano direttamente e che avevano a che fare con l’utilizzo dei permessi previsti dall’art. 33 della legge 104, utilizzati per assistere un proprio familiare stretto.
Come accertato da un pedinamento svolto dall’agenzia investigativa incaricata dall’azienda, in agosto l’uomo si sarebbe infatti recato al mare con il figlio nella fascia oraria compresa tra le ore 8 e le ore 13, per due dei tre giorni di assenza dal lavoro consentiti dai permessi che – lo ricordiamo – sono coperti da retribuzione e contribuzione figurativa.
Tramite procedimento disciplinare, il datore di lavoro contestò l’abuso di tali permessi, ritenendo che il lavoratore non avesse prestato alcuna assistenza, ed emise la massima sanzione disciplinare.
Allo scopo di farlo annullare, il lavoratore impugnò il licenziamento in tribunale ma, in primo grado, il giudice diede ragione al datore. In appello, la ricostruzione e interpretazione dei fatti fu diversa, in quanto la magistratura ribaltò la precedente decisione, annullando il recesso e ordinando la reintegra del lavoratore. Dagli esiti dell’istruttoria, l’attività investigativa avviata dall’azienda si era rivelata carente, parziale e frammentaria, in quanto non era stato dimostrato che il dipendente non avesse prestato assistenza alla madre nel corso delle 24 ore e, in particolare, nelle ore serali e notturne, come invece affermato e documentato dal figlio.
L’importanza dell’onere della prova nel ragionamento della Cassazione
I giudici di piazza Cavour non hanno ribaltato l’esito del giudizio di merito, ma – anzi – hanno confermato la correttezza logico-giuridica del ragionamento della Corte che, nel precedente grado, si era occupata del caso. Sostanzialmente, la Cassazione ha dato ragione al dipendente sulla scorta di due elementi chiave:
- l’onere della prova dell’uso scorretto da parte del lavoratore dei permessi 104 grava sul datore, ma quest’ultimo, pur con il ricorso ad attività investigative, non era riuscito a provare un comportamento fraudolento dell’uomo che giustificasse una sanzione disciplinare;
- il lavoratore aveva invece dimostrato di essersi occupato della madre invalida nelle ore notturne, e – alla luce delle risultanze di causa – era proprio questa la fascia oraria che, per specifiche ragioni mediche indicate da testimoni, imponeva la diretta cura della donna.
Non solo. Nella vicenda in oggetto, le verifiche dei detective incaricati dal datore per investigare sul comportamento del dipendente, si erano interrotte alle ore 19, non potendosi escludere che l’assistenza fosse poi effettivamente stata svolta nelle ore serali e notturne.
Ma sono alcune parole, usate dalla Corte nella sentenza n. 23185, a togliere ogni dubbio sull’assenza di responsabilità disciplinare dell’uomo:
non è richiesto che l’assistenza sanitaria debba essere prestata necessariamente in corrispondenza dell’orario di lavoro che il lavoratore avrebbe dovuto svolgere, posto che si tratta di diritto del lavoratore che non ha siffatta limitazione temporale nella legge.
Non c’è alcuna regola giuridica che comprime il diritto del lavoratore in tal senso e, per questo, il permesso 104 di per sé non impone al lavoratore di rimanere a disposizione del familiare per tutte le 24 ore e in maniera esclusiva.
La Cassazione conferma la precedente decisione di merito e annulla il recesso per giusta causa
In mancanza di una prova schiacciante dell’abuso da parte dell’azienda – si noti che la relazione investigativa non è mai stata depositata in giudizio – e a fronte della prova “contraria” data dal dipendente di aver comunque svolto assistenza in altri orari, il licenziamento disciplinare va annullato.
Alla luce dei fatti di causa, l’uomo non ha quindi compiuto alcuna grave violazione disciplinare nell’andare al mare con il figlio di mattina. Il licenziamento era illegittimo e il ragionamento del giudice d’appello è stato giuridicamente corretto. Perciò, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dall’azienda, confermando l’illegittimità dell’impugnato recesso.
Che cosa cambia
La Suprema Corte ha sancito che non può essere espulso dall’azienda il dipendente che sia avvale dei permessi 104, pur svolgendo compiti di cura nei confronti del familiare disabile nelle sole ore notturne. In linea generale, secondo la Cassazione, in caso di disputa giudiziaria, è compito del datore dimostrare in modo completo e inconfutabile che il suo dipendente ha utilizzato i permessi per finalità diverse da quelle assistenziali, omettendo del tutto di prestare aiuto al familiare e legittimando – quindi – la sanzione espulsiva.
A giustificare il licenziamento in tronco non bastano quindi mere presunzioni, automatismi o attività investigative svolte parzialmente. Serve la prova certa. Inoltre, l’assistenza può essere prestata anche in momenti della giornata differenti da quelli in cui il lavoratore presta la propria attività lavorativa. È in gioco infatti un diritto soggettivo che non può essere limitato da arbitrari vincoli orari, che concentrino l’aiuto sanitario nel turno lavorativo. In estrema sintesi, è sufficiente la finalizzazione dell’assenza dal lavoro alla tutela del disabile: il tempo dedicato può, dunque, essere distribuito in fasce diverse della giornata, purché sia effettivamente destinato alla cura. Considerazioni simili sono state fatte, recentemente, in una diversa sentenza della Corte avente ad oggetto i permessi e l’attività fisica durante la giornata.
Concludendo, la sentenza n. 23185 rafforza la tutela dei lavoratori subordinati che si occupano di familiari disabili, chiarendo che i permessi 104 non sono rigidamente vincolati all’orario contrattuale, ma devono essere valutati sulla scorta delle necessità mediche dell’invalido.