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Gaia Piccardi, inviata a New York
L’italiano fil di ferro e lo spagnolo snodabile si contendono la Coppa, il premio da 5 milioni e la vetta del ranking
A Broadway, tra le mille luci che illuminano i canyon di cemento armato della Grande Mela, uno show così se lo sognano. La trama: due ragazzi capaci di produrre il tennis del futuro si contendono il materialismo contemporaneo: la coppa dell’Open Usa (con essa un premio di 5 milioni di dollari) e la vetta del ranking. Chi vince, prende tutto.
La stangata va in scena stasera a Flushing, tra misure di sicurezza eccezionali per la presenza di Donald Trump: Sinner vs Alcaraz è il quinto atto della stagione (1-3), il terzo consecutivo in una finale Slam (1-1), il 15° in totale (5-9), è il bivio sul cemento dopo che Carlos ha dominato la terra e Jannik ha tosato l’erba. Trattandosi di Gen Z, ha senso che la sfida più alta si ambienti su un playground americano del Queens, alla base della piramide del professionismo sportivo, tra tangenziali e centri commerciali, davanti a 23.771 spettatori indisciplinati e paganti (sold out).
Due mondi opposti: Sinner-Alcaraz, la nuova rivalità da record
Il tennis sono loro, l’italiano di fil di ferro e lo spagnolo snodabile, Jannik distrugge la palla e Carlitos crea colpi, senza thanatos non esisterebbe eros, senza yin non ci sarebbe yang: Sinner e Alcaraz si incastrano alla perfezione nel grande puzzle delle rivalità storiche, chi temeva che dopo i Big Three la pallina di feltro avrebbe smesso di rimbalzare è servito. Il triangolo isoscele, per ora, non prevede un terzo lato: se Harry Potter non si fosse fatto ingannare da Djokovic in Australia, le quattro finali Major le avrebbero giocate tutte loro, invece a Melbourne si è infilato un baco nel sistema — Sascha Zverev emblema del fallimento della Next Gen, la terra di mezzo — e il record (quattro su quattro) è di Sinner, che entra nel club dei finalisti Major nell’anno solare insieme a Rod Laver (‘62 e ‘69, le annate dei Grandi Slam a cavallo tra dilettantismo ed era Open), Roger Federer (2006, 2007, 2009) e Novak Djokovic (2015, 2021, 2023). I paragoni sono questi, altissimi, non si sfugge. Sinner evoluzione del Djoker e Alcaraz felice reincarnazione da vivo del maestro svizzero, più una spruzzata dell’atletismo djokeriano, tutto in versione moderna, con l’aiuto di materiali che una volta non erano stati inventati, tipo le scarpe che permettono a questi fenomeni di scivolare sul duro, roba che ai tempi di Panatta ti spezzavi la caviglia.
Il terzo incomodo non esiste perché Jannik e Carlos si sono chiusi nella loro bolla impermeabile, a New York (quarti 2022) il loro dualismo è esploso: da quel momento chi ha provato a tenere il passo si è perso per strada (Zverev, Rune), si è rotto dentro (Medvedev) oppure fuori (Shelton, Draper). Sui tornanti verso la finale, Sinner ha sofferto: ha lasciato un set a Shapovalov e Auger-Aliassime, gente che ha accettato lo scambio con il migliore momentaneamente privo dell’arma del servizio, costretto a chiedere l’intervento del fisioterapista in semifinale («Ho sentito tirare dopo un servizio sul 4-3 nel secondo set, il trattamento mi ha aiutato; poi non ho avvertito più niente e sono tornato a servire alla velocità normale. Nulla di preoccupante»), mentre il più bravo veleggiava senza perdere un set (come Federer nel 2015), pratico ed essenziale nello snodo con Djokovic; un paio di fronzoli a parte, il match più maturo giocato da Carlitos quest’anno. «Lavoro duro per aumentare la costanza di rendimento, per non avere troppi su e giù nel corso della partita — ha detto —. Sono fiero di me».
Non preferireste trovare qualcun altro in campo oggi, abbiamo chiesto ad entrambi alla vigilia. Hanno risposto di no. «Sono contento di confrontarmi con il migliore tennista del mondo — l’opinione di Sinner —, lo dico per il modo in cui sta giocando a New York. È più solido, il suo servizio ha percentuali importanti, mentre il mio non è dove vorrei. La prima volta, qui all’Open Usa, eravamo giovani e pensavamo solo a tirare forte: adesso entra in gioco anche la tattica, le cose si complicano». La risposta di Alcaraz, che promette un nuovo taglio di capelli in caso di vittoria: «Non commetterò gli errori di Wimbledon, ogni partita con Jannik mi permette di crescere. Quando conosci un avversario così bene, la differenza la fanno i dettagli».
Già, i dettagli. Il recupero di Carlitos contro le leggi della fisica che ha riaperto la finale di Parigi, la combinazione servizio-dritto di Jannik che ha chiuso quella di Londra. Le due luci del tennis sovrastano quelle di Broadway. Lo spettacolo, comunque vada, è qui.
7 settembre 2025 ( modifica il 7 settembre 2025 | 09:36)
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