“Sicuramente vi sono molti più Paesi Ue, non solo Ungheria e Slovacchia, ancora dipendenti dai flussi di gas naturale russo che transitano attraverso la Turchia”, spiega all’Adnkronos Francesco Sassi, Postdoctoral Fellow all’Università di Oslo, commentando l’accusa rivolta da Budapest ad altri Paesi Ue. Questo vale anche per il petrolio, prosegue: “A livello apparente” sono solo Budapest e Bratislava le capitali europee che continuano a importare quello russo, ma sono a loro volta interconnesse con gli altri mercati Ue mediante un’infrastruttura capillare. “Quando la molecola di gas o greggio russo arriva in uno di questi Paesi, cambia l’etichetta d’origine e viene esportata, è russa o non lo è più? Non c’è una risposta univoca, e nonostante le pressioni che fa Bruxelles per imporre certificati di origine, è molto difficile etichettare l’energia come i prodotti del supermercato”, sottolinea l’esperto.

 

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