Costruito a tempo di record nel 1922, l’Autodromo di Monza con la sua storia, il suo percorso mozzafiato e la leggenda dei grandi corridori che corsa dopo corsa l’hanno sfidato, rappresenta il tempio delle gare automobilistiche. Un’icona ineguagliabile nella storia dell’Italia e del mondo dei motori.
Lo chiamano il ‘Diavolo Rosso’ perché al volante indossa un maglione color fuoco e corre come un demonio. Per l’anagrafe, però, è Pietro Bordino: 35 anni, figlio di un custode, guida una Fiat 804 a sei cilindri.
Ha corso e vinto in giro per il mondo e in questi anni Venti del Novecento ce ne sono pochi di piloti forti come lui. Eppure, stavolta, quando lo premiano perché di nuovo ha trionfato, battendo altre celebrità come Felice Nazzaro o Guido Meregalli, si rende conto che quella vittoria, più di ogni altra, l’ha consegnato alla storia. È il 10 settembre del 1922 e Pietro Bordino ha appena vinto la seconda edizione del Gran Premio d’Italia. La prima sul nuovo, bellissimo e velocissimo Autodromo di Monza.
A tempo di record
La decisione di costruirlo viene presa nel gennaio 1922 dall’Automobile Club di Milano per celebrare il suo 25esimo anniversario, sfruttando il fermento nel mercato italiano dell’automobile. Nonostante infatti nel Paese circolassero ancora meno di 50mila vetture e la distanza da Francia, Inghilterra e soprattutto Stati Uniti restasse enorme, aziende come Fiat, Alfa Romeo e Lancia crescono a vista d’occhio, sfornando modelli più sofisticati ed esplorando nuove tecnologie e materiali.
L’Autodromo può essere una bella occasione per provare su pista i nuovi modelli e allora l’idea di costruirlo viene appoggiata pure dall’industria. Del progetto se ne occupano l’architetto Alfredo Rosselli e l’ingegnere Piero Puricelli che nel Parco di Villa Reale, abbandonato dai Savoia dopo l’omicidio di Umberto I, mettono in piedi un cantiere prodigioso, che impegna 3.500 operai, 200 carri, 30 autocarri e una ferrovia Decauville di 5 km con due locomotori e 80 vagoni.
L’obiettivo è costruire una pista di velocità e un anello stradale di 14 chilometri totali, per un costo complessivo di 6 mln di lire. E così dare una casa definitiva al Gran Premio d’Italia, che l’anno prima s’era corso provvisoriamente a Montichiari, vicino Brescia. I lavori iniziano il 15 maggio e già il 3 settembre, in una giornata di pioggia, il presidente del Consiglio Luigi Facta partecipa all’inaugurazione.
Il Mantovano Volante
Il circuito si afferma rapidamente, ospitando pure il Gran Premio Motociclistico delle Nazioni. Se però già s’era dovuto correggere il progetto iniziale per non stravolgere il paesaggio, è poi la sicurezza a reclamare alcune modifiche, soprattutto dopo il terribile incidente che costa la vita nel 1928 al pilota Emilio Materassi e a una ventina di spettatori.
Le gare vengono quindi sospese e sarà così ovviamente anche durante la Seconda Guerra Mondiale, con la grande pista monzese ridotta a deposito.
In mezzo, però, negli anni Trenta, fa a tempo a splendere il talento di Tazio Nuvolari, il ‘Mantovano Volante’, vincitore nel 1931, nel 1932 e nel 1938. Fa scalpore in particolare la corsa del 1931, quando il pilota si ritrova a correre anche per lo sfortunato Luigi Arcangeli, morto durante le prove. Lui e la sua squadra, l’Alfa Romeo orgoglio del regime, non vorrebbero correre ma Mussolini ordina non solo di gareggiare, ma anche di vincere sconfiggendo per la patria la Mercedes di Hitler.
Nuvolari, che non può contare sull’auto titolare distrutta nell’incidente, guida una macchina di fortuna, assemblata alla meglio. Quando però questa cede, sale a bordo di quella dell’altro compagno di scuderia Giuseppe Campari e con lui vince. Il suo nome è oggi scolpito nella leggenda di Monza e dell’Italia intera, con le sue imprese, il maglione giallo, i pantaloni azzurri e il gilè di pelle marrone che scaramanticamente in gara non cambiava mai.
Inizia l’era della Formula 1
Arriviamo al 1949. La guerra è finita. L’Autodromo, tornato all’antico splendore, riapre. E sulla scena, adesso, ci sono novità importanti. Innanzitutto la Ferrari. E poi nuovi piloti pronti a sfrecciare come missili. Primi fra tutti l’italiano Alberto Ascari e l’argentino Juan Manuel Fangio.
Nel 1950, inoltre, nasce la Formula 1 e nel calendario del suo campionato d’esordio Monza è l’ultima tappa. Inutile dire che s’assegna il titolo e che la tensione è alle stelle. Fangio guida la classifica e Ascari è il rivale più temibile.
Ma a beffare entrambi è il torinese Nino Farina sulla Grand Prix 158 Alfetta. Ascari, però, non deve aspettare molto per rifarsi e porta la Ferrari a una storica doppietta vincendo nel 1951 e nel 1952, anno questo del suo primo Mondiale poi bissato nel 1953.
Resterà cinque stagioni ai vertici, vincendo 13 Gp, ma com’era stato per il padre Antonio trent’anni prima, la sua carriera termina drammaticamente, proprio su quel circuito che amava tanto. Il 26 maggio 1955, forse perché aveva sbandato, forse perché qualcuno gli aveva attraversato la strada, esce fuori pista all’altezza della Curva del Vialone che poi si chiamerà Variante Ascari. La sua Ferrari 750 Sport si ribalta e lo schiaccia, uccidendolo sul colpo.
L’omaggio al Maestro
Il grande rivale di Ascari, come detto, è l’argentino Juan Manuel Fangio, figlio di italiani col carattere spigoloso e la guida spettacolare. Lo chiamano ‘Il Maestro’ ma anni dopo sarà, semplicemente, ‘Il più grande di sempre’.
Nel 1956 è già un’icona quando sulla Ferrari corre a Monza per il suo quarto Mondiale. La sua auto però ha un guasto e lui, disperato, sente che il titolo sta per sfuggirgli. Invece ai box vicino a lui si ferma il compagno di squadra Peter Collins che avrebbe potuto vincere in solitudine e invece prende a bordo ‘Il Maestro’ per arrivare al traguardo insieme da secondi e dargli i punti necessari per il Mondiale. “Come omaggio alla carriera”, dirà poi.
Ma Fangio è ancora lontano dalla pensione e lo dimostra già nel 1957, vincendo nuovamente il titolo e arrivando a cinque totali, record battuto soltanto 46 anni dopo da Schumacher, capace di arrivare a sei e poi a sette.
Sessanta e Settanta
Anche negli anni Sessanta e Settanta a Monza si corre, si vince e, purtroppo, si muore. Il Gran Premio del 1961 è ancora della Ferrari, stavolta grazie all’americano Phil Hill, ma non si festeggia perché l’altro pilota della Rossa, il tedesco Wolfgang von Trips, ha perso la vita in gara travolgendo pure 14 spettatori.
E così è anche per la corsa del 1970, quando il Gp per Maranello lo conquista Clay Regazzoni e un altro lutto, stavolta nelle qualifiche, ne zittisce la gioia.
Solo emozioni sportive invece, e per fortuna, l’anno dopo, con la palpitante sfida tra Peter Gethin sulla British Racing Motors e Ronnie Peterson della March Ford, risolta a favore del primo per un centesimo di secondo.
E in quella del 1975, con un nuovo trionfo di Regazzoni e soprattutto l’affermazione sulle scene del grande Niki Lauda, pilota austriaco che quell’anno vince il Mondiale per la casa di Maranello e s’appresta a segnarne le vicende per un’epoca intera, col suo fare metodico e il viso segnato dalle fiamme di un terribile incidente del 1976 che non gli impedirà di vincere qui nel ‘78 e nell’84.
Una doppietta all’improvviso
Nel 1980 il Gp d’Italia si disputa a Imola, per consentire nuove ristrutturazioni all’Autodromo. È solo una pausa per il “Tempio della velocità” e se i due decenni precedenti erano stati un’alternanza di imprese e lutti, gli Ottanta sono quelli dei grandi duelli tra piloti straordinari che dominano la scena.
Anche a Monza: Nelson Piquet per tre volte per un totale di quattro contando anche Imola, Alain Prost pure in tre occasioni, e una a testa Lauda e Ayrton Senna.
Tra loro s’intrufola René Arnoux, talento un po’ inespresso. E la Ferrari? Dall’andamento alterno in quegli anni, piazza un’incredibile doppietta nel Gran Premio d’Italia del 1988, prima con l’austriaco Gerhard Berger e seconda con Michele Alboreto. Un successo straordinario, pochi giorni dopo la morte, di Enzo Ferrari, novantenne.
Ayrton Senna
Le Ferrari nel 1988 vincono approfittando di un incredibile incidente che coinvolge, a pochi giri dal traguardo, la McLaren del brasiliano Senna, che comunque va poi a conquistare il titolo davanti a Prost. Il francese si rifà l’anno dopo mentre a Monza Senna trionfa nel 1990, arriva secondo nel 1991, sconfitto dal britannico Nigel Mansell, e torna nuovamente a primeggiare nel 1992. Sono stagioni di grande passione attorno alla Formula 1 e naturalmente all’Autodromo, che si rifà ancora il look, con nuove chicane e modifiche alle curve di Lesmo e la Variante della Roggia.
Il grande tedesco
Nel 1996 torna a vincere la Ferrari e il pilota non è uno qualsiasi. Si chiama Michael Schumacher e già nel 1994 e nel 1995 aveva conquistato il Mondiale guidando la Benetton. Poi il passaggio a una Rossa un po’ sbiadita, lontana dal titolo piloti da 17 anni. La stagione è dominata dalle Williams, ma la Ferrari è in crescita, forte del nuovo asso tedesco. E lo dimostra proprio nel Gran Premio d’Italia, caratterizzato dall’ingombrante presenza di pile di gomme posizionate dagli organizzatori per evitare che i piloti taglino troppo le curve ma che in gara si rivelano pericolosissime, tanto da eliminare nei primi cinque giri sei degli otto favoriti.
Michael Schumacher festeggia la vittoria al Gran Premio di Monza il 10 settembre 2000.
Restano, per la vittoria, soltanto Jean Alesi, al comando, e Schumacher, il ‘Kaiser’. Un duello esaltante che vede le due auto incollate finché il francese della Benetton si ferma ai box e il nostro prende il comando per non lasciarlo più. È il primo successo di Schumi a Monza, ma non l’ultimo perché si ripeterà altre quattro volte: 1998, 2000, 2003 e 2006. In quest’ultima occasione a coronamento di una rimonta fantastica che lo vede risalire dall’11° al primo posto.
Leggenda
Anche negli anni successivi il Tempio della Velocità è teatro di grandi duelli, dal 2007 al 2013 per esempio tra Fernando Alonso e Sebastian Vettel, vincitori rispettivamente due e tre volte.
C’è stato poi Lewis Hamilton, primo in ben cinque occasioni (2012, 2014, 2015, 2017, 2018). E poi la doppietta dell’imprendibile Red Bull di Max Verstappen (2022 e 2023). E quella della Ferrari di Charles Leclerc, nel 2019 e l’anno scorso davanti a 335mila persone, nuovo record per l’Autodromo.
Max Verstappen, quattro volte campione del mondo, sul podio del Formula 1 Pirelli Gp d’Italia a Monza.
È l’1 settembre 2024 e le McLaren si piazzano in pole position con Norris e Piastri. Poi c’è Russell su Mercedes e in quarta e quinta ecco le rosse di Leclerc e Carlos Sainz. Si parte e Piastri supera il compagno e va al comando.
Leclerc non molla e si ritrova secondo, lo segue, finché al 39esimo giro approfitta della sosta ai box dell’australiano e balza in testa. Amministra, gestisce i tempi mentre Sainz gli fa da scudo volandogli alle spalle. Piastri cerca di riprendersi il perduto, fa il giro più veloce e supera Sainz. Rosicchia ancora, ma Leclerc resiste. Resiste fino in fondo e vince, scrivendo un’altra pagina memorabile nella storia del Tempio della Velocità.
Un luogo unico, che in questi lunghi, entusiasmanti 103 anni ha conosciuto la vita e la morte, l’esaltazione della vittoria come lo sconforto della sconfitta e dell’addio. Record, scaramanzie, sorpassi e controsorpassi. Soprattutto ha visto uomini realizzare i loro sogni e, correndo senza paura, scrivere la leggenda dell’Autodromo di Monza.