di
Candida Morvillo
Myrta Merlino e Daniela Morera ricordano i rituali dell’estate di Re Giorgio sull’isola, dalla tavola condivisa con gli amici ai «bagni di folla» in paese
L’ultimo dolore di Giorgio Armani, nell’estate che se l’è portato via, è stato disertare Pantelleria. Più di Milano, di Antigua, di Sankt Moritz o di Saint-Tropez, era questa la casa che amava e dove riusciva a staccare da tutto. «Quest’anno non è venuto ed è stata un’avvisaglia sulla sua salute», ricorda Myrta Merlino, vicina di dammuso e compagna di molte estati. «La sua casa gli mancava così tanto che mi ha chiesto di andare a fare un bagno in piscina anche se lui non c’era: ha voluto che gli raccontassi di ogni palma, di ogni pianta grassa, di una specie di capannina col pergolato appena costruita».
Il «sistema solare»
A Cala Gadir, dove l’alba si specchia sul mare, Armani aveva costruito dal 1981 il suo buen retiro: sette dammusi fusi in una sola, grande proprietà: una collina punteggiata di palme centenarie fatte arrivare dalla Sicilia, piscine, aree living che cambiano atmosfera con le ore del giorno. «Erano saloni mezzi chiusi e mezzi aperti», racconta l’amica Daniela Morera ex modella e collaboratrice di Andy Warhol, «con rotoli di lino lasciati liberi al vento al posto delle tende: era uno stile di vita, una filosofia». Non era una villa, era un sistema solare. E lui, il sole al centro. Ogni estate la stessa orbita: Leo Dell’Orco, l’ombra inseparabile; i collaboratori più fidati a partire dalla Global Communication Director Anoushka Borghesi, gli amici di sempre come Daniela Morena e il marito Fabio Bellotti, e apparizioni sparse: Claudia Cardinale, Lauren Hutton, Eric Clapton che di notte suonava nel silenzio della baia, Alessandro Preziosi…. Immancabile, un manipolo di giornaliste di moda. Armani le accoglieva personalmente all’aeroporto e in jeep le portava dentro quella bolla di bellezza e anche di disciplina.
Come in collegio
La disciplina non rimaneva a Milano. Lui cominciava all’alba con una corsetta mattutina verso Punta Spadillo, personal trainer alle calcagna. Poi, colazione collettiva, giornali sparsi sul tavolo. Era il suo tribunale. Bruna Rossi, condirettore moda di Io Donna, ricorda le vacanze dei primi anni ’80: «Era una specie di collegio delle brave ragazze e temevamo l’arrivo dei settimanali, Giorgio sfogliava le pagine di moda e criticava tutto e noi zitte, come scolarette. Anna Riva, che era più grande, osava difendere Chrtistian Lacroix e il suo barocco e Giorgio s’infuriava». Carla Vanni, per quasi trent’anni direttore di Grazia, lo provocava su Versace: «Difendevo le sue giacche, dicevo che erano bellissime. Solo che erano così costruite da essere il contrario di quelle destrutturate di Giorgio, che si arrabbiava. Ma erano discussioni divertenti e divertite». Si finiva sempre sullo stesso nome. Al che, Giorgio diceva: «Basta con questa Anna Wintour! Basta Wintour! Andiamo al mare».
Alto tradimento
Il resto era rituale: pranzo leggerissimo a un tavolo infinito in giardino, riposino, tè sotto le palme, aperitivo sulle rocce, cena su una collina, «una sorta di piazza sospesa, con un grande tavolo rotondo apparecchiato con sete indiane, lanterne, candele», ricorda Daniela, «intorno, la luna, il mare, le stelle. Era un modo di ospitare profondamente suo, eppure in sintonia con l’isola». Tutto perfetto, tutto misurato. «Da Armani, anche le patate erano greige», sintetizza Vanni. Uscire da quella perfezione era considerato tradimento. Ipotizzare un salto nella villa di Fabrizio Ferri, fotografo e vicino sul versante del tramonto, poteva suonare come un affronto a un’intera estetica: lì c’erano musica, modelle, feste; da Giorgio, luci soffuse e understatement. Ma qui, Armani tornava leggero, qui rideva e scherzava. Daniela, che ora non trattiene la commozione, dice: «Se devo ricordare una sola immagine sua è questa: lui che ride, col vento nei capelli, fra gli amici, nella sua isola».
Vestivamo all’armaniana
Per tutte, il dilemma era come vestirsi. All’«armaniana o come?». Poi, fu chiaro che lì, a Pantelleria, il luccichio era un crimine. Ricorda Vanni: «Mettevamo di giorno, pareo o caftani, la sera abiti etnici o folk, pantaloni fluidi, camicie leggere, mai niente di luccicante». Una volta, però, Armani la prese da parte: «Senti, bisogna che te lo dica: stai malissimo con queste gonne, metti dei pantaloni, lunghi, fluidi… Non ho mai più messo la gonna. Aveva ragione: stavo meglio coi pantaloni». Quanto a lui, era sempre uguale: di giorno, bermuda blu e t-shirt bianca o viceversa; di sera, tutto blu, di la sua divisa senza tempo e senza latitudine.
Cena con delitto
Minimale era anche la cucina. A pranzo, pesce bollito e verdure, a cena, piatti se possibile più semplici. «A volte», ricorda Vanni, «Gigi Giuliano, socio di Emporio a Roma, scompariva in cucina per inventarsi piatti che definiva più gioiosi. Faceva pure il caramellato: un attentato ai principi di Giorgio». Alla prima cena da Armani, Myrta Merlino ricorda che aveva il cuore in gola: «Ero emozionata, ma mi mise accanto a lui: voleva sapere tutto di politica e politici. Intanto, arrivavano pesce, champagne, ma lui beveva chinotto e sgranocchiava due carote e una zucchina fredde. Gli dico: bravo, così resterai eterno. E lui, ridendo: vuoi sapere la verità? È una vita di me..a». Un’altra volta, venne ospite da noi. Marco scherzava sempre dicendo che casa nostra sembrava la portineria di Armani. Al che, a fine cena, Giorgio prese un pezzo di tronco di quelli levigati dal mare e ci scrisse col pennarello: a Myrta e Marco, grazie per la vostra presenza nella nostra portineria. Quel tronco lo conservo come una reliquia». In fondo, testimonia che il genio sapeva anche ridere.
La passeggiata tribale
Un giorno a settimana, Giorgio rompeva la clausura e annunciava: «Oggi è il giorno del bagno di folla». Era quella che Vanni chiama la «passeggiata tribale». La gente si radunava attorno a lui, gli chiedeva autografi, foto, e lui si prestava. Era il suo modo per far sentire al paese la sua vicinanza. Faceva il giro delle botteghe, sceglieva personalmente creme o capperi e, a turno, andava in tutte le trattorie che amava. Una processione laica, come quando la statua del santo patrono esce dalla chiesa e fa il giro delle strade.
Come sul Titanic
L’isola lo conosce come benefattore: dopo l’incendio che minacciò la sua proprietà nel 2022, Armani donò fondi ai pompieri, macchinari all’ospedale. Quella notte, Myrta e Marco scapparono con lui in barca, sul suo Main da 65 metri: «Temporeggiavamo, non sapevamo se scappare o restare. Chiamo Leo e, in sottofondo, sento Giorgio che urla: “Digli di correre al porto, che scappiamo con la barca. Ora. Adesso. Subito”. Urlava davvero. Così ci buttiamo in macchina, bagnati di doccia, e arriviamo al porto. Saliamo sulla barca e troviamo tutti già a tavola, una tavola lunghissima, scicchissima, apparecchiata come fosse il Titanic. Noi due sembravamo profughi. Armani guarda Marco, preoccupato per la nostra casa puntata dalle fiamme, e gli dice: “Tranquillo, le case le ricostruiremo più belle e più grandi di prima”. E Marco: “Tu sì, io no!”».
A rimirar le stelle
Le giornate, infine, si concludevano sempre tutti sdraiati sul prato, a guardare le stelle. Si parlava, si scherzava, a volte si restava in silenzio, solo ad ascoltare il vento, ricorda chi c’era. Per Giorgio era il momento in cui ogni affanno e piccola ossessione si scioglievano nella notte di Pantelleria, il momento in cui non c’era più Re Giorgio, né il signor Armani, ma solo Giorgio.
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7 settembre 2025
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