Milano, 7 settembre 2025 – Una vita fatta di parole. Che creano immagini. Che aprono mondi. Che raccontano sogni. La vita di Ezio Abbate è esattamente questo. Lo scrittore e sceneggiatore sta portando in giro per l’Italia ‘Ti vengo a cercare’, il suo ultimo romanzo. 

Ezio, quando hai iniziato a scrivere?

“Ho sempre avuto questa vocazione e già a 14-15 anni scrivevo poesie e canzoni, la musica è la mia più grande passione. Poi però ho iniziato a voler dare forma ai pensieri. Avevo una fidanzata a Bologna che frequentava il Dams e lì ho imparato che c’era una parte di scrittura che creava e dava forma a una parte di mondo. Ho capito che mi sarebbe piaciuto scrivere per immagini. Poi sono arrivati la Rai e l’esordio con il cinema e la tv. E alla fine anche il ritorno ai libri”.

Come è nato ‘Ti vengo a cercare’? Da dove è nata l’ispirazione?

“Non credo tanto al concetto di ispirazione perché quando sei nel pieno della tua vita artistica sei una membrana aperta che assorbe tutto e non aspetta un momento specifico. Nel 2011 ho letto intervista a una donna. La sua era una storia vera di forza e sofferenza. Sono partito da lì e poi ho sviluppato la mia narrazione. E’ una storia dura perché nello stesso istante ci sono gioia e dolore, luce e buio”.

Quale è stata la parte più difficile da scrivere?

“Quella iniziale perché la scommessa stilistica del libro è far attaccare al lettore il jack al cuore della protagonista Carla. La sua vita all’inizio è stantia e la scrittura doveva andare in quella direzione: come se io avessi avuto una chitarra sgangherata e avessi dovuto imparare a suonare con uno strumento così. Gli editor mi correggevano tantissimo di queste pagine, non avevano capito che doveva essere così. Quella è stata una parte difficile”.

Il tuo nome è diventato noto al grande pubblico per la tua partecipazione come sceneggiatore alla serie cult ‘Suburra’. Come è andata? C’è stato un momento in cui hai pensato che non sarebbe piaciuta al pubblico?

“Il momento in cui pensi che sia tutto da buttare e che non funzionerà mai c’è sempre, fa parte del gioco. E se non c’è ti devi sentire guardingo. Prima di arrivare a una cosa così grossa come ‘Suburra’ (la prima serie italiana fatta realizzata da Netflix, ndr), abbiamo tutti commesso errori e fatto una gavetta incredibile. Ero nel gruppo di scrittura che aveva scritto ‘Romanzo Criminale’ e da lì abbiamo fatto una serie di progetti. Percorso lento, non dedicato al successo immediato. Per me non sono i numeri di ‘Suburra’ a contare: la conoscono tutti, ma soprattutto conoscono i personaggi. Ed è questo l’aspetto che dà l’idea del successo di una serie”.

Una serie che avresti voluto scrivere?

“Quelle di Zerocalcare. Non ci sono molti casi in Italia in cui è lo stesso creatore del prodotto a portarlo in giro e a proteggerlo. All’estero succede molto più spesso. Mi sarebbe piaciuto anche partecipare alla stesura di ‘Adolescence’, anche se in Italia nessuno ci avrebbe permesso di fare una serie del genere”.

Cosa auguri al tuo libro ‘Ti vengo a cercare’?

“Il libro esiste a prescindere da me e gli auguro proprio questo: di esistere. Ci sono tanti bei libri che non riescono ad arrivare alle persone perché i mezzi di comunicazione non li valorizzano e questo è un peccato”.

Progetti futuri?

“Ho già in mente il libro successivo, è una storia che non vedo l’ora di scrivere. Mi sto dedicando molto di più al cinema perché mi sembra che ci sia più libertà editoriale. La scrittura di ‘Suburra’ ha richiesto 16 mesi, il cinema è più veloce e so come poter concludere i personaggi. Sono modi di lavorare differenti”.