Ha chiuso il Festival di Venezi 2025 un thriller futuristico ambientato in una Parigi in cui l’ordine è gestito da intelligenza artificiale e droni. Chien 51 è diretto da Cedric Jimenez e interpretato da Gilles Lellouche Adèle Exarchopoulos Louis Garrel Valeria Bruni Tedeschi. La recensione di Mauro Donzelli.
La Senna è sempre la linea di confine di varie Parigi, ma divide le zone, non i quartieri o i caratteristici Arrondissement di oggi, nel futuro prossimo e dispotico (ma non troppo) raccontato nel nuovo film del marsigliese Cédric Jimenez. Sono zone connotate in senso sociale, la prima è la più esclusiva, la zona dei potenti, poi si arriva alla terza, dove abita anche il poliziotto protagonista di Chien 51, ancora una volta Gilles Lellouche, faccia segnata dalla vita di strada in cerca di colpevoli, capelli corti giallo paglierino, vita solitaria e dolorosa che sembra uscita da una storia di detective hard boiled alla Marlowe. I poliziotti sono al centro di quella che ora diventa una trilogia dedicata da Jimenez alle forze dell’ordine.
Cominciata con l’ottimo (e discusso) BAC Nord, ambientato nei quartieri difficili della sua città, Marsiglia, con agenti in azione ogni giorno ai limiti della legalità, sfumando i confini fra traffico di droga e il suo tentativo di sgominarlo, è proseguita con l’ufficiale d’élite della brigata anticrimine nell’altrettanto convincente Novembre, sui fatti del Bataclan. Questa volta torna, dopo BAC Nord, il suo sodale Lellouche, qui nei panni di Zem, uno “sbirro” disilluso dalla professione, dai suoi superiori e dalla deriva dell’anticrimine, oltre e più che dalla vita. Infatti l’ordine è gestito da ALMA, un’applicazione di intelligenza artificiale, da cui nessuno può sfuggire, grazie alla tentacolare rete di agenti e soprattutto droni letali che controlla. L’azione si sviluppa quando il carismatico inventore dell’app viene assassinato e Zem si trova a collaborare con un’agente di alto livello, Salia (Adèle Exarchopoulos), nell’indagine per risolvere un caso di omicidio apparentemente slegato, ma che presto porterà alla luce segreti e punti di rottura nel sistema che gestisce l’ordine in città.
Dopo Marsiglia e Parigi, il crimine di strada e quello terroristico, Jimenez si avventura in quello futuristico, in cui è difficile sempre distinguere i confini fra chi gestisce l’ordine e chi il disordine, alimentando la paura scomposta sempre più diffusa in questi anni di boom dell’AI. La produzione ha valori di livello, la ricostruzione notturna è seducente e ben fatta, alcuni tocchi di tecnofuturo sono gustosi, come un karaoke totalmente immersi con cui i due si esibiscono in una delle scene di alleggerimento, con canzone iper classica di ordinanza.
Chien 51, un codice in un mondo di numeri e cifre, in cui l’elemento umano è sempre più in secondo piano, racconta di un mondo in cui l’efficacia assoluta (ma presunta) del controllo del crimine porta all’inquietante negazione del dubbio, dell’indagine e dello stesso intervento di un procuratore e della giustizia, che con il dubbio e con l’interpretazione dei fatti garantisce l’equità di un contesto sociale non schiavo di un sistema binario, come quello messo in scena da Jimenez. Qual è lo spazio della coscienza, in questa Parigi che ci piace molto poco? Due eroici protagonisti cercano di rivendicarlo, a costo di sacrificarsi e dando pathos ulteriore a questo poliziesco hi-tech che intrattiene con un sottotesto etico molto chiaro, senza volare troppo alto, droni a parte, che sono un inquietante orpello di questo film, ma anche di questi tempi e di queste guerre.