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Prima di “The Sun Rises on Us All”, presentato in Concorso al Festival di Venezia 2025, il regista cinese Cai Shangjun fu ospite del Lido già nel 2011 con il suo film più celebrato, People Mountain People Sea. In quell’occasione vinse il Leone d’argento alla regia e fu voluto dall’allora direttore artistico Marco Müller, anche a seguito dei problemi che la pellicola aveva riscontrato in Cina, dove fu tagliata, rivista e censurata.
Oggi Cai torna con un’opera più convenzionale, un melodramma d’autore corpulento (oltre le due ore e che in Italia non ha ancora distribuzione) che si fa incubatrice di sentimenti prima repressi e poi estremi. Un racconto nell’apatia di una Cina contemporanea, dai ritmi lenti e dalle inquadrature lunghe, statiche, che indugiano sulla costruzione del senso di gabbia, di un’afasia nei confronti della vita.
Di cosa parla The Sun Rises on Us All
Il mondo di The Sun Rises on Us All è distante e glaciale. Un luogo in cui trascinarsi e boccheggiare quel poco di ossigeno che si riesce a incamerare tra uno stato di apnea e l’altro. È così che vive Meiyun (Xin Zhilei). Giovane ma infelice, possiede un negozio di abbigliamento, vive in un anonimo appartamento e intrattiene una relazione clandestina con un uomo sposato e con figlia (Feng Shaofeng).
Ogni giorno è simile al precedente, in un malessere circolare dove forse si intravede una flebile speranza per il domani – l’uomo le promette di lasciare la moglie per lei. Di fronte a questa tenue possibilità di andare avanti si staglia però all’improvviso il carro del passato, carico di un rimosso che ha la forma di un debito umano da pagare. A tornare è infatti Baoshu (Zhang Songwen), uscito da qualche tempo dal carcere e con un rapporto torbido e all’inizio indefinito che lo lega a Meiyun.
Da lei pretende che si prenda cura di lui come compensazione per qualcosa che è accaduto anni addietro. Oscillando tra il senso di colpa e la pietà umana provati dalla protagonista, la sceneggiatura scritta da Cai e Nianjin Han fa allora germogliare nel mezzo uno storto complesso di dipendenza.
Di penitenza e dolore
Una sindrome di Stoccolma tra due dolori intrecciati fino a trascinarsi sottoterra a vicenda, sui quali la forma da melodramma inasprito fino alla penitenza spinge giù i personaggi, con il rischio di sfiorare un pelo di sadismo narrativo. Le metafore che Cai si sceglie sono d’altronde cariche e insistite, scavate letteralmente dentro al corpo dei due – lei nella pancia scopre di portare una gravidanza, lui invece un cancro allo stomaco.
E nell’estendersi con questa mole, The Sun Rises on Us All intercetta senza dubbio una dimensione asfissiante di malessere (buone le performance di Xin e Zhang), alla quale però trae via artificialmente ogni spazio di sfogo e la possibilità di un’adesione empatica, lasciando allo spettatore solo un viaggio tra le ortiche dell’esistenza.
VOTO: 5