“Il Piano Nazionale per la Salute
Mentale 2025-2030 è stato presentato come una svolta decisiva
per rispondere alle crescenti sfide psicosociali in Italia, ma
da un’analisi emergono criticità significative che ne limitano
l’efficacia. Forti perplessità riguardano il ruolo dello
psicologo e l’inquadramento di alcune funzioni territoriali”. Lo
scrive, in una nota, Vito Tummino, presidente della Federazione
italiana Società di Psicologia, aderente alla Fism.
“Il Piano mostra un’impostazione riduttiva della professione
psicologica, considerando lo psicologo prevalentemente come
tecnico operatore e non come professionista sanitario autonomo,
dirigente, con competenze riconosciute in diagnosi, cura,
prevenzione e riabilitazione – accusa il Presidente della
Società Scientifica- Tale visione non è coerente né con
l’evoluzione normativa e professionale della figura dello
psicologo, né con i principi dei Lea”.
La criticità principale, per Tummino, è “che il Piano prevede
di inserire lo psicologo di primo livello nei Dipartimenti di
Salute Mentale (Dsm), quando la sua corretta collocazione
dovrebbe essere nei Dipartimenti Cure Primarie: nei distretti
sanitari o nelle Case di Comunità. È lì che può svolgere in modo
efficace il suo compito di intercettazione precoce del disagio
psicologico e dei primi segnali di malessere mentale.
Inquadrarlo nei Dsm rischia di snaturarne la funzione,
spostandolo da un ruolo preventivo a uno di gestione dei casi
gravi”. Questo, inoltre, “minerebbe il ruolo delle Case della
Comunità, che devono rimanere primo punto di ascolto,
valutazione e orientamento dell’ utenza. Lo stesso accadrebbe
includendo i Consultori nei Dsm – conclude – con il rischio di
perdere un presidio fondamentale per ascolto e intervento
precoce” su famiglie e giovani generazioni”.
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