MISANO ADRIATICO – Il 31 agosto, nel giorno in cui alla Vuelta Vingegaard batteva Pidcock alla Estación de Esquí de Valdezcaray, Salvatore Puccio impegnato a Plouay annunciava il suo ritiro dopo 14 stagioni di professionismo. Il siciliano cresciuto in Umbria e padre di un bimbo di due anni e mezzo, è stato per anni la bandiera solida e discreta del Team Ineos Grenadiers, che quando ci entrò si chiamava semplicemente Team Sky. Quando lo incontriamo nei viali dell’Italian Bike Festival ha l’espressione rilassata di uno studente alla fine di maggio. Il suo percorso sta per finire, i compiti li ha fatti e nelle sue parole si percepisce la curiosità per la nuova vita che lo attende. Trentasei anni sono tanti per un corridore, molti meno per tutti gli altri.

Salvatore è abbronzato e tirato, pronto per correre. Occhiali da sole con le lenti tonde e grandi che gli danno l’aspetto più sbarazzino. La tuta nera e accanto Omar Fraile e l’addetta stampa della squadra che lo segue e scandisce i tempi tra un impegno e il successivo. Lo conosciamo dal 2010 e non c’è stato un solo giorno in cui non si sia dimostrato una persona perbene.

Giro d’Italia 2013, il primo di Puccio: il Team Sky vince la cronosquadre a Ischia e Salvatore veste la maglia rosa

Giro d’Italia 2013, il primo di Puccio: il Team Sky vince la cronosquadre a Ischia e Salvatore veste la maglia rosa

Quando hai cominciato a pensare di fermarti?

Gli ultimi due anni hanno avuto alti e bassi. L’età si fa sentire, i giovani vanno fortissimo quindi è stata una decisione naturale. Dopo le difficoltà del 2024, mi ero detto che in ogni caso questo sarebbe stato un anno di prova. Mi sono messo in testa di ripartire bene. Infatti quest’inverno mi sono allenato più che in tutti i quattordici anni da professionista. Purtroppo però già alla Tirreno non avevo delle buone sensazioni, per cui l’obiettivo è diventato fare il Giro e vedere cosa sarebbe venuto fuori nella prima settimana. Mi sono allenato al massimo, facendo il professionista al 110 per cento. Magari un altro anno potevo continuare, poi ho avuto l’infortunio al Tour of the Alps e lì ho pensato che fosse un segnale (sorride, ndr). Ho recuperato. Sono tornato alle gare e sto continuando ad allenarmi al 100 per cento, ma ho capito che è tempo di smettere.

Perché?

L’età è quella giusta. Ho sempre visto maluccio chi continuava dopo una certa età, trascinandosi. Non mi piaceva lasciare il ciclismo pensando che mi avrebbero visto come un… cadavere. Ci sta che negli ultimi anni di contratto non rendi più, non puoi sapere come starai l’anno dopo. Per cui ho fatto una scelta decisa. Sono contento, non ho nessun rimpianto, rifarei tutto allo stesso modo. Forse mi sarebbe piaciuto andare una volta al Tour, ma ho fatto per tanti anni il Giro in cui sono stato sempre molto rispettato.

Colle delle Finestre al Giro del 2018: Puccio tira nel tratto asfaltato. Dietro Froome prepara l’attacco che gli darà la maglia rosa

Colle delle Finestre al Giro del 2018: Puccio tira nel tratto asfaltato. Dietro Froome prepara l’attacco che gli darà la maglia rosa

Tanti fanno fatica a smettere, tu sembri molto deciso.

Quanto potrei fare ancora? Uno o due anni per allungare l’agonia? Gli anni importanti, quelli in cui molti corridori fanno un po’ “i vagabondi” perché tanto hanno il contratto, io li ho fatti al 100 per cento. Fortunatamente nella mia carriera non ho mai avuto tanti infortuni, quindi ho corso sempre. Alcuni colleghi restano attaccati all’ultimo contratto per mettere via ancora qualche soldino, perché prima si sono presi degli anni sabbatici. Io sono stato professionale al 100 per cento. Quando era necessario ho lavorato e adesso ho tutto il tempo per andare alle feste. Ho 36 anni, per la vita normale sono giovanissimo.

La prima svolta c’è stata quando hai lasciato Monaco per tornare a Petrignano?

Quello era stato più per la famiglia. Era nato mio figlio e con mia moglie c’era un accordo iniziale. Anche a lei piaceva vivere lì, ma sempre con un occhio al paese. Quando è nato il bambino avremmo comunque dovuto cambiare casa anche a Monaco e poi sinceramente avrei voluto che mio Tommaso crescesse con i nonni, dargli una famiglia vera. Noi corridori viaggiamo 200 giorni l’anno e il bambino sarebbe cresciuto solo con sua madre. Invece così è a casa, i suoceri abitano sotto, i miei genitori sono a 6 chilometri. Ci sono gli zii, è tutta un’altra vita. E’ una famiglia e a me piaceva che crescesse con una famiglia. Monaco è una piccola città, ma è anche grande. Non conosci neanche quello che ti abita accanto.

Puccio ha chiesto di conservare una sola bici: la Pinarello celeste del mondiale 2017 a Bergen

Puccio ha chiesto di conservare una sola bici: la Pinarello celeste del mondiale 2017 a Bergen

Quando tuo figlio ti chiederà che corridore è stato suo padre Salvatore Puccio, che cosa gli racconterai?

Che è stato un professionista. Nel suo ruolo, ma un professionista. Non mi sono mai lamentato, non sono mai stato male. Ho visto molte volte corridori, anche miei compagni, non presentarsi alle corse dicendo che stavano male. Mi sembra di essermi ritirato solo una volta in Australia, perché stavo male. Non ho mai chiamato il giorno prima perché avevo la febbre o un virus. A 36 anni inizi a valutare anche queste cose. Questo è il periodo dell’anno in cui ci si ammala, a me non è mai successo.

Hai detto che quest’inverno ti sei allenato tantissimo: adesso che lo hai annunciato hai ancora volgia di allenarti?

E’ duro partire, però ieri ho fatto distanza, visto che per venire qui a Misano non sarei andato in bicicletta. Due giorni fa ho fatto una doppia uscita, perché queste sono le nuove tipologie di allenamento. A 20 giorni dalla fine carriera potevo anche scrivere all’allenatore e dirgli che non avevo voglia, oppure la mattina potevo inventarmi che stavo male. Invece mi sono fatto due giorni pieni di lavoro. La mattina con blocchi di un’ora e mezza e 40 minuti al medio. E la seconda uscita fuori soglia. E’ roba da pazzi per uno che tra due settimane smette. Mancano tre gare, ci posso andare in scioltezza, ma voglio essere serio sino all’ultimo. Ho chiesto solo di fare le ultime corse in Italia, è la sola cosa che ho chiesto.

Per gli italiani del Team Ineos Grenadiers, Puccio è stato per anni un riferimento. Qui con Ganna all’Etoile de Besseges 2021

Per gli italiani del Team Ineos Grenadiers, Puccio è stato per anni un riferimento. Qui con Ganna all’Etoile de Besseges 2021

Quanto è cambiato l’allenamento da quando sei passato?

Quello che fa impressione sono gli allenamenti sui rulli tutti vestiti. Quest’anno l’ho fatto anche io. All’ultimo anno da professionista, mi sono dovuto vestire dentro il garage col termico, la cuffia e sudare per avere vantaggio dall’heat training. Quest’anno mi sono iscritto anche in palestra, andavo due volte a settimana alle sei me mezza del mattino. Un’ora e mezzo di palestra e poi andavo in bici.

Sei passato professionista dopo aver vinto il Giro delle Fiandre U23, ma non hai mai avanzato pretese…

Quando sono arrivato qui, la squadra era forte. C’erano Cavendish e Wiggins, in tutte le gare in cui andavo c’era un capitano. Non è come oggi, che arriva il diciottenne, gli dici di andare a tirare e ti risponde di mandarci un altro, perché lui fa classifica. Poi ho visto che facendo quel tipo di lavoro, ero rispettato in squadra. Ho guadagnato bene, almeno per il mio ruolo. Quando fai capitano c’è molto più stress, devi rimanere ad alto livello. Quindi ho detto che andava bene così.

Puccio ha lavorato con tanti leader. Qui è con Carapaz, che nel 2022 perderà la rosa nel finale sul Fedaia

Puccio ha lavorato con tanti leader. Qui è con Carapaz, che nel 2022 perderà la rosa nel finale sul Fedaia

Qual è il capitano più in gamba per cui hai lavorato?

Capitani ne ho avuti diversi, ma il più maniacale era Froome. In gara faceva da corridore, allenatore, direttore. Lui vedeva tantissimo la gara. Poi ce ne sono stati tanti. Thomas poteva partire anche con un’altra bici, perché non se se sarebbe accorto. C’è stato Bernal, c’è stato Tao. Ho vinto il Giro con Froome, Bernal e Tao, poi la Vuelta con Froome. E devo dire che in quella Vuelta del 2017 stavo bene. E’ stata una delle gare in cui sono stato meglio. Ero stato in altura, avevo fatto una settimana a Livigno e una sullo Stelvio. Avevo uno stato di forma pazzesco, in confronto alle altre gare, dove soffri sempre. Lì soffrii, ma il giusto. Adesso invece ho solo tanto mal di gambe.

Ci sarà ancora la bicicletta nella vita di Salvatore Puccio?

Per fare passeggiate da caffè. Tutt’ora quando vengono con me gli amici che fanno quattro ore con me, io poi mi ritrovo morto sul divano il pomeriggio e mi chiedo come facciano.

Salvatore Puccio, classe 1989, è pro’ dal 2012. Ha sempre corso nel gruppo Ineos Grenadiers, prima Team Sky

Salvatore Puccio, classe 1989, è pro’ dal 2012. Ha sempre corso nel gruppo Ineos Grenadiers, prima Team Sky

Hai deciso insieme a tua moglie che avresti smesso?

No, l’ho deciso da solo. Mia moglie mi diceva di smettere già da diversi anni (ride, ndr). E adesso c’è da organizzarsi una vita. Sono ancora giovane, stare tutto il giorno in casa è anche negativo. Mi sono iscritto al corso di direttore sportivo, mi piacerebbe rimanere in questo sport. Ho fatto la prima corsa che avevo sette anni. Ho fatto gli ultimi allenamenti, anche ieri, facendo strade che forse poi non vedrò più. Addirittura mi sono lanciato su una strada sterrata e ho pensato che se avessi bucato, mia moglie non sarebbe venuta a prendermi.

Cosa terrai della tua carriera?

Una maglia per ogni stagione e la bici azzurra dei mondiali di Bergen del 2017. Ho conservato anche tutti i dorsali dei Grandi Giri. Dieci Giri e sette Vuelta. Sono stato per 14 anni nella stessa squadra perché mi hanno valorizzato. Non ho vinto nemmeno una corsa, ma ho due secondi posti: una al Giro e una alla Vuelta. Ho avuto poche possibilità e ho perso da Cummings e De Marchi, due esperti delle lunghe fughe. Si vede che era destino che non vincessi.