di
Gaia Piccardi
Ieri la luce di Sinner non si è accesa, Alcaraz ha coperto benissimo il campo: per lui è la vittoria della maturità
DALLA NOSTRA INVIATA
NEW YORK – Il vero presidente degli Stati Uniti, mentre Donald Trump viene fischiato come da pronostico, è un immigrato spagnolo. È arrivato da Murcia con una valigia piena di magie e le squaderna sotto il tetto chiuso dell’ultimo Slam, diventato improvvisamente indoor per due ottimi motivi (pioviggina e al chiuso è più facile proteggere The Donald), nella domenica in cui Sinner lascia in albergo la prima di servizio (48%), soccombendo alla varietà di colpi dell’arcirivale.
Carlos Alcaraz, 22 anni e sei titoli Slam, a New York si prende tutto: Open Usa, il secondo di una carriera che nel 2022 decollò proprio da questo campo, e prima posizione nel ranking per 760 punti, strappata a Jannik dopo 65 settimane consecutive. L’azzurro, che aveva subito quattro break in sei partite, in finale perde il servizio cinque volte, Carlitos si dimostra lucido e affilato come contro Djokovic, poco fumo e molto arrosto: ha un solo momento di assenza che gli costa il break nel quarto game del secondo e, con esso, il parziale. Ma anche quando la finale torna in parità, e Sinner riacquista un po’ di smalto dopo un primo set decisamente fuori fuoco — break incassato a freddo al primo game, un dritto di cui non potersi mai fidare del tutto (28 gratuiti in totale) e una risposta latitante —, è sempre la sua nemesi a cavalcare l’energia di un ambiente elettrico e a tenere in pugno il controllo degli scambi.
Gli applausi di Springsteen e Curry, ma Jannik fatica
Sinner-Alcaraz, 46 anni in due, è già el clasico del tennis, come titolano i giornali iberici. E l’America risponde, mandando in avanscoperta tra le tangenziali del Queens i suoi vip più splendenti. Su tutti, Stephen Curry e Bruce Springsteen applaudono, si divertono però il match non sprigiona le scintille di Parigi, quei cinque set cresciuti d’intensità su una terra sempre più rovente, né il pathos di Wimbledon, il luogo delle fragole dove l’erba trasforma il tennis in letteratura: è una finale mai davvero in bilico perché la vera luce di Sinner non si accende e Alcaraz, nel confronto, appare — a tratti — abbacinante. Al contrario dell’azzurro, Harry Potter è sorretto da un servizio inscalfibile (83% di punti sulla prima, 10 ace), non si sottrae allo scambio con Jannik dando al match la parvenza del videogioco e dopo il secondo set non lascia affiorare in superficie altre crepe che Sinner possa trasformare in voragine. Chiude i varchi, copre la rete. È smagliante. Si presenta all’orgia domenicale di cibo di Flushing con un cabaret di paste dolcissime, finché la glicemia di Sinner non impazzisce. Anche il quarto set è deciso da due break che originano da altri (inconsueti) errori sinneriani: il dritto in corridoio del 2-0 per Alcaraz è seguito da una palla lanciata in aria, quello insideout largo in corridoio (4-0) dalla racchetta scagliata per terra — non con cattiveria — e ripresa al volo. Jannik evita il 6-0 (6-1) ma non ha la forza per ribaltare il suo destino.
La trova nel quarto, sul 5-3, per cancellare i primi due match point di un avversario ormai irrefrenabile, in piena trance agonistica. Il break del 3-2 si è materializzato, a conferma della giornata no alla battuta (tutto il torneo si è assestato su percentuali non eccelse), con un doppio fallo di Jannik. Dopo 2h42’ è un servizio vincente di Alcaraz a chiudere la quinta sfida stagionale (Spagna-Italia 4-1) ma, probabilmente, non l’ultima del 2025. La pantera rosa abbraccia a rete il ragazzo italiano che lo sta spingendo a centrare record mai scritti, poi si arrampica in tribuna per la festa con il clan: se la prima volta a New York aveva colto di sorpresa anche lui, l’Open Usa bis è la vittoria della maturità (a 22 anni…), un set ceduto in tutto il torneo, Sinner sconfitto su due superfici diverse, ma la superiorità di Jannik e Carlitos ormai è tale da annullare le specifiche tecniche di questo sport.
A ogni Slam questa bellissima rivalità si alimenta di nuove pagine e parole. «Ho dato il mio meglio, non potevo fare di più» ammette Sinner nella premiazione da cui Trump si esime, affidata al gelido Ivan Lendl. Alcaraz trotterella via portandosi la coppa sotto il braccio come fosse il pallone dopo un poker di gol. «Jannik, ti vedo più della mia famiglia!» ride. Sembra un bambino. Perché alla fine, questo, è un gioco.
8 settembre 2025 ( modifica il 8 settembre 2025 | 08:10)
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