di
Ruggiero Corcella
Dai cuori virtuali su larga scala ai «gemelli» dei reparti ospedalieri, i digital twin stanno passando dai laboratori ai reparti, promettendo cure più precise e ospedali più efficienti. Restano però nodi di validazione, etica e regole
Un cuore «virtuale» costruito su misura per ogni individuo: è questa la promettente prospettiva che emerge da uno studio internazionale pubblicato su Nature Cardiovascular Research, in cui i ricercatori del King’s College di Londra, dell’Imperial College di Londra e dell’Alan Turing Institute hanno sviluppato una popolazione di digital twin cardiaci, ovvero «gemelli digitali» del cuore umano.
Si tratta di modelli matematici avanzati e personalizzati, capaci di simulare con grande realismo il comportamento elettrico del muscolo cardiaco. L’obiettivo? Comprendere meglio le sottili differenze nella fisiologia elettrica del cuore, da una persona all’altra – anche tra individui sani – e anticipare eventuali vulnerabilità che potrebbero sfuggire agli esami standard come l’elettrocardiogramma.
Nello studio si spiega come, utilizzando risonanze magnetiche ed elettrocardiogrammi della UK Biobank e da coorti cliniche, siano stati generati 3.461 «gemelli cardiaci» più 359 modelli da pazienti con cardiopatia ischemica, mostrando come età e obesità rimodellino le proprietà elettriche del cuore.
Cos’è un gemello digitale
Ma che cos’è esattamente un gemello digitale? «Una replica digitale di un oggetto che riproduce anche i cambiamenti che avvengono nell’oggetto reale. Questo vuol dire acquisire continuamente dati dell’entità che deve essere replicata e delle relazioni che questa ha con l’ambiente circostante», spiegano Alberto Tozzi e Diana Ferro nel libro «Guida facile all’intelligenza artificiale in medicina» (Il Pensiero Scientifico).
Questa «copia» permette ai clinici di provare diagnosi e terapie in sicurezza, prima di applicarle sul paziente reale.
Come e dove vengono utilizzati digital twin
I gemelli digitali vengono utilizzati per generare repliche o modelli digitali che rispecchiano diversi elementi dei dati sanitari, tra cui l’ambiente ospedaliero, le funzioni biologiche umane e i risultati di laboratorio. I «sosia in silico» stanno già dimostrando la loro utilità: aiutano a simulare l’effetto di farmaci e a pianificare interventi, riducendo tentativi e rischi.
Un gemello digitale può replicare anche un reparto o un intero ospedale. È un «crash test» organizzativo: si simulano accessi in Pronto Soccorso, occupazione dei letti, turni e percorsi chirurgici, così da correggere il tiro prima di cambiare davvero i processi. Su Frontiers in Digital Health sono stati descritti benefici su efficienza e risultati. E in Europa il tema entra nei percorsi tempo-dipendenti: nell’ictus ad esempio si stanno usando gemelli digitali per la prevenzione, il trattamento e la riabilitazione.
In Italia, tra gli altri, IRCCS Humanitas e Humanitas University di Milano, con il professor Matteo Della Porta, stanno sviluppando gemelli digitali per migliorare la comprensione e il trattamento dei tumori rari.
L’Istituto Neurologico Besta partecipa a STRATIF-AI, un progetto guidato da Gunnar Cedersund responsabile del Dipartimento di Ingegneria biomedica alla Linköping University, che utilizza i «gemelli digitali» per migliorare la prevenzione, il trattamento e la riabilitazione per i pazienti colpiti da ictus.
«Oltre a cambiare la diagnosi e la cura, intelligenza artificiale e digital twin rivoluzioneranno presto anche il modo in cui concepiamo e conduciamo gli studi clinici — sottolinea Massimiliano Gnecchi, professore di Cardiologia presso l’Università di Pavia e direttore della Cardiologia Traslazionale dell’IRCCS Policlinico San Matteo, dove da alcuni anni si sviluppano modelli computazionali e applicazioni di intelligenza artificiale per lo studio del cuore —. L’intelligenza artificiale ci aiuterà a selezionare sottogruppi di pazienti con caratteristiche specifiche, basandosi su biomarcatori e parametri clinici, così da predire la risposta a una determinata terapia e ridurre il numero di pazienti che hanno una risposta nulla o scarsa.
I digital twin potranno in futuro sostituire del tutto o in parte le popolazioni di controllo: grazie a simulazioni accurate potremo prevedere come si comporterebbe un paziente senza la terapia in esame, abbattendo così il numero di volontari da arruolare e i costi dei trial clinici. Guardando ancora più avanti — conclude — potremmo arrivare, in un orizzonte a lungo termine, a integrare dati di intelligenza artificiale, digital twin e modelli computazionali per verificare l’efficacia di un farmaco in modo del tutto virtuale, riducendo al minimo i test sui pazienti reali. È una prospettiva ambiziosa, che però apre scenari del tutto nuovi per la ricerca clinica del futuro».
Rischi, bias e questioni etiche
Il fascino del «clone» non deve far dimenticare i rischi: bias e scarsa rappresentatività dei dataset, opacità dei modelli, consenso informato dinamico, tracciabilità delle versioni e responsabilità in caso di errore. L’etica medica invita a un «contratto» chiaro tra pazienti, clinici e sviluppatori e a verifiche prospettiche paragonabili a quelle dei dispositivi medici; una recente consensus su npj Digital Medicine propone raccomandazioni per sicurezza e governance.
Cosa ne pensano i pazienti
Ma qual è l’opinione dei pazienti? Un’indicazione arriva da uno studio su 1.472 persone, che fa parte dello stesso studio pubblicato su npj Digital Medicine da un gruppo di ricercatori dell’Università di Zurigo. La maggioranza degli intervistati (61,5%) accoglierebbe con favore un proprio digital twin. E si tratta soprattutto di anziani e persone con esperienza nell’uso di strumenti digitali. Le ragioni più accettate per utilizzare un DT sono direttamente correlate a potenziali benefici medici come «Coordinare efficacemente i trattamenti medici» (80,9%), «Prevedere il decorso di una malattia e avviare contromisure» (76,4%) o «Rilevare precocemente i rischi per la salute» (76,2%); «Non dipendere più da un medico» (23,3%) riceve solo un basso livello di accettazione. Sebbene i potenziali benefici dei DT siano ampiamente riconosciuti, le preoccupazioni relative alla privacy e alla sicurezza dei dati rimangono diffuse.
E i medici
In uno studio pubblicato su Scientific Reports, un team di ricercatori ha chiesto a 13 medici dell’University of Illinois cosa ne pensassero
di avere un gemello digitale. I medici hanno ipotizzato diversi scenari: delegare al gemello la risposta a messaggi ripetitivi, spiegare esami, seguire follow-up o fare educazione sanitaria, liberando tempo prezioso per le attività cliniche più complesse. Alcuni immaginano persino che la propria «copia virtuale» possa risultare più convincente agli occhi del paziente, rafforzando fiducia e aderenza alle cure. I rischi, secondo loro? L’identità digitale potrebbe essere usata impropriamente, si perde chiarezza
su responsabilità e confini del dialogo, il rapporto medio-paziente si impoverisce. Undici su 13 partecipanti però lo proverebbero, purché validato e trasparente. Per altri, meglio un avatar meno realistico, per ridurre eventuali pericoli.
8 settembre 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA