La figura proteiforme di Giuseppe Marchiori, a oltre quarant’anni dalla scomparsa, attende ancora la giusta rivalutazione critica. Conosciuto soprattutto come raffinato interprete d’arte moderna, Marchiori teorizzò quel Fronte Nuovo delle Arti orientato a rapportare le esperienze plastiche e figurative internazionali più innovative a un panorama nostrano molto composito, annoverante profili dissimili come quelli di Afro, Birolli, Cassinari, Guttuso, Leoncillo, Morlotti, Pizzinato, Santomaso, Vedova, Alberto Viani. Peraltro l’impegno in chiave interdisciplinare approdò a esiti originali, spaziando dalla poesia alla prosa, dall’elzeviro al saggio critico, dall’annotazione diaristica alla pittura in proprio. Ne è testimonianza il volume Voci segrete e «collages» Poesie, prose, dipinti (pp. XLIV-490, € 39,00) che Il Ponte del Sale pubblica per le ineccepibili cure di Marco Munaro e Nicola Gasparetto, rispettivamente impegnati ad approfondire l’aspetto letterario e figurativo.

Si tratta di un doveroso omaggio a questo intellettuale sui generis, inquieto ed elegante, contenente una serie di contributi di taglio eterogeneo, inediti o di difficile reperimento, arricchiti da un apparato iconografico d’eccezione. In occasione di una mostra di suoi dipinti ispirati a un astrattismo dalle molteplici suggestioni, qui opportunamente riprodotti, Marchiori si autodefinì un «anonimo del Novecento» (con la variante dell’«anonimo polesano», ricavata da un testo confluito nella rivista «L’Orto», dove nel 1935 recensì tempestivamente il Kn di Carlo Belli). E, in effetti, questo singolare connubio tra onestà intellettuale e poliedrica dimensione compositiva caratterizza la limpida cifra della scrittura marchioriana, non soltanto quando il fine esegeta si avventura a descrivere le Amalassunte di Licini, i «nudini» di De Pisis, le nature morte di Morandi o i paesaggi buranelli, contrapposti a quelli bretoni, di Gino Rossi, ma anche quando le sue argomentazioni sembrano scaturire dalle proustiane intermittences du cœur.

Eccolo allora licenziare, in forma discreta, quasi sotterranea, una serie di plaquette poetiche in tiratura limitata con piccoli editori, illustrate da artisti particolarmente congeniali quali Giuseppe Santomaso, Franco Carlassare, Riccardo Licata, il cui comune intento è quello di interpretare i suoi testi in maniera anticonvenzionale. Si passa dagli empiti lirici di Vorrei essere (1959) ai Sei divertimenti (1972) alle Voci segrete (1980), alternati alle prose della Mantide atea (1963), stampate dall’indimenticabile Brenno Bucciarelli, ai Misteri eleusini e altri scritti (1980). In quest’ultima sequenza, illustrata da Orfeo Tamburi, si chiama in causa la figura mitologica di Fetonte che, secondo la leggenda, fu punito da Zeus per essersi impadronito del carro solare, cadendo nel Po a poca distanza da Crespino, paesetto del Polesine.

Un cenno a parte meritano i collages poetici, realizzati in italiano e francese, dove l’immagine del suo volto squadrato, contadinesco, ossessivamente rifratta da Luisa Boldrin, viene associata a ritagli di giornale accuratamente assemblati, volti a creare divertenti, spesso sconclusionati calembours. Non mancano i neologismi: si pensi a cauchemarbre, ricavato dai sostantivi cauchemar (incubo) e marbre (marmo). Ma, altrove, il tono, di ascendenza epigrammatica, è più immediato e godibile, come in Gioco di parole: «Attendez, messieurs: / Chacun son tour. / Attendez, chevaliers: / Chacun sa tour». Si procede saltabeccando dal Picasso delle ceramiche di Antibes alle forme muliebri di B.B., dal liciniano Angelo ribelle all’«oro di Micene». Munaro asserisce giustamente: «Marchiori comprende che la poesia non può che nascere dall’oscurità ma deve trascenderla in un gesto di coerenza e di chiarezza».

Significativo il lavoro di recupero di testi rari e dimenticati come quelli compiuti per L’Almanacco del Polesine, secondo Gasparetto «un divertito compendio di cultura popolare ottocentesca», curato con il poeta dialettale Eugenio Ferdinando Palmieri nel 1932, stesso anno di pubblicazione del Santo dei bastioni, volume illustrato da incisioni sue e di Juti Ravenna.

Ma è soprattutto con la testimonianza dedicata a Umberto Saba che l’umanità di Marchiori si manifesta a pieno titolo, con momenti oltremodo toccanti (sarebbe interessante ricostruire il carteggio basandosi sulle lettere inedite del poeta triestino custodite nell’Archivio Giuseppe Marchiori a Lendinara). Saba fu ospitato a più riprese nelle residenze di Venezia e Ca’ Dolfin, villa storica di Lendinara, il cui progetto architettonico è ascrivibile a Vincenzo Scamozzi. In una quartina rimata in endecasillabi, composta in dialetto veneto, il genius loci denuncia la totale immedesimazione con tale dimora avita: «No so chi t’abia fato né par chi / Vila o palasso vecia ca’ Dolfin / Ma fra i to muri e i viali del giardin / Chi t’à fato pensava çerto a mi».

Molto interessanti anche i contributi su Venezia e il Polesine, ricavati rispettivamente da Immagine di Venezia, edito da Galassia nel 1970, con testi di Guido Perocco e Sandro Zanotto, e Polesine, pubblicato nel 1971 da Alfieri. Entrambi i volumi contengono splendide fotografie di Gianni Berengo Gardin. Sia quando si considera un Esule in patria, come recita il titolo di un libello stampato da Neri Pozza nel 1946, sia quando appronta i suoi diari non esenti da considerazioni di natura sociopolitica, Marchiori sembra affrontare la scrittura con la precisione di un entomologo, «con la minuzia di un perito», per usare una sua definizione. Cercando di omettere qualsiasi ovvietà («Imitazione, sempre imitazione delle cose inimitabili» riporta con sdegno), indaga ogni possibile legame tra parola e immagine, spesso imboccando la strada apparentemente meno scontata, come quando, in occasione di una mostra organizzata nel 1962 dalla galleria veneziana «Il Traghetto», invita in un pieghevole il nipotino a formare una collezione con opere in piccolo formato messegli a disposizione da artisti amici: nientemeno che Arp, Hartung e Vedova, oltre a Birolli, Guidi, Maccari e tanti altri.

Esemplare è il testo intitolato La casa sull’argine, dove si ricorda un’esperienza di coabitazione con Santomaso in un casolare sito a Rotta Sabbadina, in prossimità dell’Adige. Qui, coadiuvato da contadini, il pittore veneziano appronterà un affresco, come traspare dalla fotografia presente a p. 58. Molto utili le sezioni finali relative ai «Profili d’archivio» e alle «Testimonianze», in cui si ricostruiscono, con dovizia di particolari, le frequentazioni con artisti e scrittori dell’epoca. D’altro canto, per usare un’espressione dello stesso Marchiori, «è possibile fare la storia dell’ombra di un uomo?».