Ad un’occhiata esterna e superficiale, è veramente dura non giudicare Dexter: Resurrection al pari di una battuta invecchiata male: se ci pensiamo bene, si tratta dell’occasione di rettificare uno dei finali più indifferenti e prevedibili della storia del piccolo schermo (ovvero quello di New Blood), che a sua volta era il tentativo di correre ai ripari dopo una delle conclusioni più odiate del medium (la serie madre). Una battuta che soltanto i dirigenti di Paramount a quanto pare ritengono esilarante, al punto da cancellare il (a nostro avviso estremamente dimenticabile) prequel Original Sin dopo averlo rinnovato pur di concentrare gli sforzi appieno sul Dexter di Michael C. Hall e le sue nuove avventure. Un vero e proprio all-in che dovrebbe rasentare la follia, perlomeno da come lo abbiamo presentato.
Invece, questa battuta all’apparenza tanto triste ha una punchline inaspettata, in quanto Dexter: Resurrection funziona e non poco, superando di gran lunga diverse stagioni della storica serie originale. E ci riesce facendo un passo che si sarebbe dovuto compiere tanto tempo fa: non prendere il suo iconico protagonista troppo sul serio.
Dexter Morgan, atto terzo
Ma, come d’uopo, facciamo un fondamentale passo indietro e rispondiamo all’onnipresente domanda: di cosa tratta esattamente Dexter: Resurrection? Ambientata circa 10 settimane dopo il deludente finale di New Blood (qui potete riscoprire la nostra recensione di Dexter New Blood), la serie andata in onda su Paramount+ vede un redivivo Dexter Morgan (Michael C. Hall, impeccabile nel ruolo come sempre), sopravvissuto per miracolo alla fucilata di Harrison (Jack Alcott). E il primo pensiero del nostro anti-eroe è ovviamente dedicato proprio al figlio, che rintraccia a New York bisognoso d’aiuto, rimanendo contemporaneamente invischiato in un bizzarro ritrovo di serial killer.
Ora, molte delle problematiche di Dexter: Resurrection sorgono in verità da questa stessa premessa e, per certi versi, trattengono l’insieme dal fare un ulteriore salto qualitativo. Ad esempio, la leggerezza e superficialità con cui vengono troncati i legami con New Blood (ne avevamo discusso anche nel nostro primo sguardo a Dexter: Resurrection) non possono non essere dei campanelli d’allarme. Rappresentano in sostanza una sorta di monito, come se gli sceneggiatori stessero affermando di non aver problemi a eliminare senza alcuna giustificazione elementi o personaggi che il pubblico non ha apprezzato. Lo stesso discutibile atteggiamento lo si riscontra, inoltre, nei vari rimandi che lo show mette in campo, tutti “incidentalmente” legati a situazioni o figure che negli anni sono diventati virali sui social.
Dexter: Resurrection, insomma, centellina in maniera eccessivamente studiata e consapevole cosa riprendere e cosa meno, a prescindere se abbia senso o contesto. Un singolo esempio spiega al meglio un processo del genere: se la narrativa mette in campo, tra le sue tematiche principali, il complicato rapporto padre-figlio che un mostro ad alta funzionalità come Dexter può instaurare, ci saremmo aspettati tantissimi riferimenti a Lumen e cosa sia andato storto con lei, date le enormi somiglianze. Ma Lumen non è mai stata accolta con favore dai fan e la quinta stagione intera tende ad essere tralasciata e dimenticata. Eppure non dovrebbe essere un motivo sufficiente per operare una damnatio memoriae (esclusa una rapidissima menzione di passaggio), specialmente se così appropriata.
L’altra carenza impossibile da non menzionare è la caratterizzazione di alcuni personaggi secondari, che molto banalmente vengono presentati in un modo per poi comportarsi molto diversamente. Una detective della polizia di New York ci viene descritta come un genio incompreso capace di vedere cose che altri non vedrebbero mai? Intrigante, peccato che la suddetta detective non faccia mai realmente nulla di eclatante o mostri pensieri laterali fuori dagli schemi (anzi, fa ragionamenti molto logici e lineari). E soprattutto ritorna la fastidiosa tendenza del franchise di donare a personaggi del genere qualche atteggiamento un po’ kitsch o quirky per farli spiccare, una scorciatoia subdola per evitare di conferire loro una vera caratterizzazione o arco emotivo lungo la stagione.
Un sanguinoso ed intossicante parco giochi
Letteralmente tutto il resto è invece una goduria che i fan non assaporavano da oltre un decennio, del sanguinoso intrattenimento che non perde mai di vista il suo nucleo emotivo. E il centro nevralgico della svolta di Dexter: Resurrection è quello che avevamo anticipato in apertura, ovvero il non prendere il suo protagonista troppo sul serio: le tarde stagioni di Dexter e New Blood non riescono a smarcarsi dalla visione stoica del Macellaio di Bay Harbour, che a tratti diventa persino una figura messianica disposta ad immolarsi per il bene di chi lo circonda (il contrario del Passeggero Oscuro delle primissime stagioni). Ma questo non è affatto Dexter Morgan, che è più affine ad un’instancabile serial killer gretto, meschino, vendicativo, che non riesce a resistere alle sue tentazioni.
Ecco il Dexter di Resurrection, una persona che pur andando sotto copertura nei panni di un vegano non ce la fa a non farsi servire della carne, uno psicopatico che si imbarca nel buio più totale in una missione omicida solo perché un serial killer di New York ha adottato uno dei suoi tanti soprannomi, un uomo talmente contrito che persino nei suoi stessi pensieri è incapace di evitare una farsesca autoironia. Intendiamoci, non si tratta di un’invenzione targata 2025, poiché in realtà Dexter è sempre stato così, con la differenza che finalmente Resurrection ne è consapevole e lo usa a proprio vantaggio invece di negarlo con tutte le forze, un dettaglio che da solo creava un quantitativo impensabile di forzature e buchi di sceneggiatura.
E la trama stessa segue una caratterizzazione del genere, con situazioni al limite tra il drammatico e il ridicolo: un circoletto di serial killer è la perfetta incarnazione di questo nuovo e per noi brillante corso, un’idea che da un lato non può non far sorridere per la sua assurdità e dall’altro rielabora in chiave dexteriana l’ossessione per il true crime nell’ultimo decennio. Un parco giochi di intrattenimento, con uccisioni quasi episodiche e un ritmo che non rallenta praticamente mai, qualcosa sta sempre succedendo o per succedere.
Se a ciò aggiungiamo un rapporto con Harrison che finalmente assume un senso (perché si parlano, una rivoluzione che in New Blood sembrava impossibile) e una lunga quanto riuscita sequenza di momenti emotivamente forti, in primis la reunion con Batista (David Zayas) che ci ha fatto sinceramente commuovere nella sua semplicità, e il gioco è fatto. Dexter: Resurrection è, in poche parole, la prova che sì, il meglio di Dexter è alle sue spalle e tornare ai livelli delle prime quattro stagione è probabilmente impossibile, ma che il personaggio ha ancora tanto da dire e bastava guardarlo da un’angolazione un po’ differente per renderlo di nuovo una presenza gradevole sui nostri schermi. Alla faccia della battuta invecchiata male, chapeu Paramount, ci hai fatto ricredere.