di
Federico Fubini

La missione europea a Washington: sul tavolo i dazi alla Cina. Il secondo gasdotto dalla Siberia («Power of Siberia 2»), annunciato dalla russa Gazprom ma non confermato da Pechino

Pochi giorni prima del viaggio di Vladimir Putin a Pechino la settimana scorsa, la Cina ha lanciato una sfida all’Europa e agli Stati Uniti. La nave gasiera Arctic Mulan LNG è attraccata al terminale per il gas liquefatto di Beihai nel Guangxi, in arrivo dall’Artico russo. Era la prima spedizione verso la Cina del colosso del gas di Mosca Novatek, sotto sanzioni da parte di tutti i governi occidentali. Il messaggio di Xi Jinping era chiaro: il leader di Pechino non si lascia intimidire né dall’Europa, né dagli Stati Uniti e lavorerà con la Russia secondo le proprie convenienze.

È possibile che anche di questo abbia parlato oggi a Washington il gruppo di lavoro della Commissione europea con i suoi referenti dell’amministrazione di Donald Trump. Domenica Scott Bessent, il segretario al Tesoro, aveva detto che il suo governo sarebbe «pronto a far salire la pressione economica sulla Russia ma — aveva aggiunto — abbiamo bisogno che i nostri partner in Europa facciano lo stesso».



















































L’accusa, ripetuta spesso da Trump in questi giorni, è che le economie dell’Unione europea continuano a finanziare Mosca comprando gas, petrolio e carburanti russi. In sé non è infondata. Solo in luglio gli importatori europei hanno versato 1,1 miliardi di euro ai produttori russi di gas, gas liquefatto, greggio e carburanti, secondo il centro studi Crea di Helsinki. Circa metà di quella cifra si spiega con l’Ungheria di Viktor Orbán (anche attraverso l’oleodotto “Druzhba” di epoca sovietica, attraverso l’Ucraina); circa duecento milioni alla Slovacchia di Robert Fico attraverso gli stessi canali; ma altri 239 milioni di euro di fatturato russo in Europa in luglio si devono al rigassificatore di Dunkerque nella Francia del Nord, dove si serve parte dell’industria tedesca.

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Questi restano volumi molto ridotti dal 2022 (l’Unione europea nel 2025 assorbe non oltre il 6% dell’export di petrolio russo) e difficili da tagliare sostanzialmente di più in tempi brevi. Perché gli acquisti da Mosca non dipendono solo dalle preferenze di Orbán e Robert Fico: Ungheria e Slovacchia non hanno accesso al mare sono legate rigidamente per le forniture ai tubi di gas e petrolio costruiti dai sovietici oltre mezzo secolo fa.
Molto più pesante è il ruolo di Pechino nell’assorbire il petrolio e il gas che finanziano il 40% circa del bilancio di Mosca: una cifra più o meno pari alla quota della spesa pubblica assorbita dall’apparato repressivo e di guerra di Vladimir Putin. 

Dall’inizio del conflitto in Ucraina — secondo il Crea di Helsinki — la Cina ha comprato il 47% del greggio, il 44% del carbone e il 30% del metano via gasdotto esportato dalla Russia. Sarebbe bastato un taglio di un quinto di questi volumi per frenare la macchina da guerra del Cremlino. Invece il ruolo della Repubblica popolare è così decisivo che i suoi importatori riescono a dettare condizioni draconiane a Mosca. Il presunto accordo “vincolante” per le forniture dal secondo gasdotto dalla Siberia («Power of Siberia 2») è stato annunciato dalla russa Gazprom durante l’ultima visita di Putin, ma mai confermato dai cinesi: i loro negoziatori aspettano di estorcere prezzi ancora più di favore e in ogni caso non arriveranno mai a comprare neanche la metà dei 200 milioni di metri cubi all’anno che Gazprom vendeva all’Europa fino al 2021. Quanto al petrolio, anche qui i cinesi approfittano della loro posizione di forza per obbligare i russi a praticare sconti; lo si intuisce anche dal crollo di quasi l’8% in valore dell’export russo verso la Cina quest’anno.

Così, complice il calo generale del prezzo del barile, le entrate da fonti fossili per il Cremlino quest’anno sono già di un terzo sotto a quelle di un anno fa. Mosca dovrà attingere in parte alle risorse limitate del suo fondo sovrano per continuare a pagarsi la guerra. Proprio di questo stanno parlando americani ed europei in questi giorni: i primi vogliono che gli altri li appoggino nel mettere dazi contro la Cina, ma gli europei vogliono che gli americani li aiutino a tagliare le fonti di finanziamento di Mosca. Un compromesso non è escluso: l’Europa chiede da tempo a Trump di abbassare a 45 dollari a barile il prezzo massimo a cui i russi possono vendere il loro greggio.

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9 settembre 2025 ( modifica il 9 settembre 2025 | 08:10)