di
Marco Imarisio
Carlos Alcaraz non è il nuovo Federer, dopo la sconfitta di Wimbledon ha messo elementi del tennis di Jannik
I tornei parlano. La finale non è quasi mai un atto isolato, ma la naturale conseguenza di quanto accaduto nelle due settimane precedenti. La logica di questi ultimi Us Open diceva Alcaraz ed è stata rispettata, così come lo era stata a Wimbledon, quando vinse Sinner. Poteva succedere, è successo.
Detto questo, l’ondata social di sconforto seguita alla sconfitta del campione italiano è dovuta anche a un pregiudizio che persiste, e genera in molti sostenitori un complesso di inferiorità estetica. Quello della maggior bellezza di Alcaraz rispetto a Sinner, che poi diventa per trasposizione quello di una sua superiorità quando sono entrambi al massimo della forma. È un ragionamento autolesionista. Perché si tratta semplicemente di due bellezze diverse. Alcaraz non è la reincarnazione di Federer: il re svizzero sembrava che non sudasse, grazie a una leggerezza di piedi e a una dinamica dei gesti irripetibile. Lo sforzo di Carlos è evidente, così come talvolta lo «strappo» dei suoi colpi. Certo, come Roger, lo spagnolo ha una varietà di soluzioni impressionante, e questo fa sì che spesso si perda dentro il bazar del suo talento. Infatti, dopo la bruciante sconfitta di Wimbledon, ha capito che doveva aggiungere una solidità «sinneriana» al suo bagaglio. Fin dai primi turni, perché non è possibile essere solidi a comando.
Anche Jannik è un artista. Soltanto che la sua bellezza colpisce meno l’occhio, e richiede una maggiore attenzione a chi la guarda. Il tennis di Sinner non è solo un esercizio di potenza. Per colpire con quella pulizia servono appoggi sempre perfetti, la capacità di tagliare il campo per trovare sempre l’anticipo, serve una armonia nella meccanica dei gesti, tutte cose che nel tennis aderiscono alla definizione di arte. Essere più vistosi, non significa sempre essere più belli, o più forti.
Domenica sera, Carlos lo è stato senz’altro. Ma c’è del buono anche in questa sconfitta. Jannik si è battuto sapendo di non giocare il suo miglior tennis, e lo ha fatto con intelligenza: negare ad Alcaraz la possibilità di colpire di dritto per tutto il secondo set, trasformando il match in uno scontro di top spin sulla diagonale di rovescio a lui favorevole, è stata una dimostrazione di lucidità tattica, purtroppo di breve durata. Va bene così.
Anche le parole di Sinner in conferenza stampa andrebbero messe nel giusto contesto. La ricerca di una maggiore varietà «alcaraziana» del suo gioco fa parte della corsa tra questi due campioni a migliorarsi l’un l’altro. Ma senza snaturare, e senza drammatizzare. L’unica cosa davvero da mettere a posto è la percentuale del servizio, che tende spesso ad abbandonarlo. Alla fine, sarà sempre una questione di centimetri. Sono belli uguali, sono forti uguali, ognuno a modo suo. Alla prossima.
9 settembre 2025 ( modifica il 9 settembre 2025 | 07:26)
© RIPRODUZIONE RISERVATA