Con una dedica a Goffredo Fofi, salutata da un applauso affettuoso, Franco Maresco è tornato a Venezia con Un film fatto per Bene (da ieri anche nelle sale, il regista era stato premiato qui per La mafia non è più quella di una volta nel 2019). Dove il Bene maiuscolo non è casuale, ma riferito proprio a Carmelo il grande. E si comincia dall’hotel Europa di Palermo con il responsabile che racconta come ogni tot mesi la stanza 50 venga occupata come sala da barba per tagliare i capelli con una serie di vincoli paranoici o scaramantici sulle eventuali date. Ma non è Bene che usa la stanza, è Maresco che fa convergere lì il barbiere. Poi entriamo in un appartamento saturo di bottiglie d’acqua e numeri scritti ovunque su finestre e pareti, mentre il padrone si lamenta di come Maresco abbia rovinato la casa. «Da tempo mi sono accorto che ogni mio film non è stato altro che una trappola in cui mi andavo a infilare con impietoso autolesionismo», dice Maresco. Gli fa eco Andrea Occhipinti, produttore e distributore dei suoi film, singoli o con Ciprì. «Mi cattura e mi affascina, con un’idea, e ogni volta io ci casco, anche se so che sarà un calvario».

A DISPETTO dell’urlo «adesso basta» detto nel film dal produttore esasperato da ritardi e sforamenti, tra i due come si evince c’è grande sintonia di vedute. E le vedute sono quelle abituali del regista, quei paesaggi che avvolgono Palermo e diventano palcoscenico di visioni uniche. In fondo il succitato Bene aveva scritto la sua autobiografia titolando genialmente Sono apparso alla Madonna. Un ribaltamento totale dei luoghi comuni, dai quali Maresco rifugge mentre ripercorre frammenti della sua extraordinaria carriera, da Cinico tv alle sortite di bio jazz più recenti. A fare da Virgilio per questa discesa negli inferi dove cattolici e non solo hanno relegato il regista è il vecchio amico e sodale Umberto Cantone, con il cattolicissimo e fedelissimo tassista (del regista) non proprio disposto a rivelazioni confidenziali. Mentre Giuseppe Maria Desa, nel frattempo diventato san Giuseppe da Copertino, lievita estatico tra una citazione di Sandro Ciotti e una di Bruno Pizzul, davanti ai suoi devoti seguaci. Il santo si definiva fratel Asino e forse per questo è diventato il protettore degli studenti zucconi. E di zucconi, tonti, stupidi, ignoranti ne scorrono a fiumi nell’escursione estemporanea del film, che trova anche modo di autogiustificarsi sia come titolo che come racconto con una citazione di Carmelo Bene «l’incertezza ha provocato scompiglio», pronunciata con quella voce imitabile ma irripetibile di quel geniaccio che aveva un rapporto contraddittorio con il cinema, con un’unica lodevole eccezione: amava i film della coppia Ciprì e Maresco.

Sullo schermo scorrono le immagini di culto laico che risalgono a Cinico tv e ai film successivi, con nuove riprese che spesso ricalcano quell’approccio e quei personaggi. Si ride, si ride molto, per esempio alla ricostruzione della sequenza mortifera che Bergman ha tratto dal suo testo Pittura su legno per Il settimo sigillo in cui la morte gioca a scacchi con il cavaliere. Oppure quando Francesco Puma «la persona più stupida del mondo» viene strapazzato come ai vecchi tempi, anche se ora è stato beatificato dalla presenza in Cinematografo di Marzullo, inchiodato dalle sue frasi più devastanti.

UNA FRASE calembour reiterata e anche rovesciata dice «il tempo è quello che ti ammazza», ecco quindi che per esorcizzare il tentato filmicidio della produzione e per proseguire e portare avanti la questione il film nel film torna negli studi televisivi che hanno visto le origini della singolare poetica di Maresco. Però un problema si pone, perché il racconto è un po’ come un gioco degli specchi che rimandano alla fine la faccia, bellissima e ricoperta di peli, di Franco Maresco, giovane, meno giovane, con i capelli scuri, con meno capelli bianchi, sempre in cerca di frasi lapidarie, «questo film è il solo modo per dare una forma alla rabbia che provo per questo mondo di merda».

IL COLORE si alterna al bianco e nero, ma gli uomini dominano la scena, le donne stanno alla larga, solo l’inarrivabile fotografa e complice Letizia Battaglia compare in un frammento, mentre Carla Uzzo si coglie in diverse situazioni in quanto sceneggiatrice accanto a Franco.

Una volta si diceva di certe persone «se non ci fosse bisognerebbe inventarlo». Ecco, Franco Maresco rientra a pieno titolo nella categoria, quindi va benissimo che quando sembra sparire di scena qualcuno vada a cercarlo. Perché abbiamo davvero bisogno di lui e del suo punto di vista letteralmente e visceralmente cólto sul fatto.