La Dogana ha contestato a un cittadino romano l’acquisto di una maglietta per bambini e una confezione di fermagli per capelli, entrambi a marchio Disney ma contraffatti. Un ordine da 42,13 euro
Un acquisto da 42 euro trasformato in una sanzione di oltre quattordici volte superiore, un consumatore ignaro che si ritrova accusato di aver introdotto in Italia prodotti contraffatti, e la macchina burocratica che si mette in moto con precisione implacabile. È la storia – vera, documentata dai verbali della Dogana – di A.G., un cittadino romano che nel maggio scorso aveva ordinato alcuni articoli di uso quotidiano su Temu, la piattaforma di e-commerce di origine cinese che negli ultimi mesi ha conquistato anche il mercato italiano. Nel suo carrello: palloncini per una festa di compleanno, spugne per la cucina, un costume da bagno. E, quasi per caso, due oggetti che cambieranno il corso della vicenda: una maglietta per bambini decorata con i personaggi di Monsters & Co. e una confezione di fermagli per capelli ispirati a Inside Out. Prezzo totale: 42,13 euro. Conseguenze: un verbale della Dogana di Roma, il coinvolgimento dello studio legale che tutela i diritti Disney e una multa da 618 euro notificata direttamente all’acquirente. Un caso che sembra marginale, ma che in realtà mette in luce una questione di enorme portata, ovvero il ruolo del consumatore nell’introduzione di merce contraffatta nel territorio italiano, l’efficacia (e i limiti) dei controlli doganali e, più in generale, la fragilità dell’acquirente di fronte al fenomeno del commercio elettronico transnazionale.
Il controllo in Dogana
Tutto inizia quando il pacco di A.G., proveniente da un magazzino extra-UE, viene sottoposto a controllo fisico dagli ispettori dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Tra spugne e palloncini, gli agenti individuano due articoli sospetti: quella maglietta con l’azzurro sorridente di Sulley e i fermagli che riproducono le emozioni antropomorfe del film d’animazione Pixar. Non si tratta di una procedura insolita: ogni giorno negli hub doganali italiani passano migliaia di spedizioni acquistate online da siti esteri. Una quota viene selezionata per i controlli: a colpo d’occhio, per anomalie nei documenti di accompagnamento, per segnalazioni dei titolari dei marchi o semplicemente per campionamento. Nel caso di Roma, gli ispettori ritengono necessario approfondire. Contattano lo studio legale Spheriens, che da anni rappresenta Disney Enterprises nelle controversie di proprietà intellettuale in Italia. La risposta, arrivata il 18 luglio, non lascia dubbi: gli articoli sono contraffatti. Da quel momento la procedura è automatica. La Dogana dispone il sequestro amministrativo dei beni e notifica al destinatario del pacco la contestazione di una sanzione amministrativa. Importo: 618 euro.
Perché la multa ricade sul consumatore
Il punto centrale è qui. Perché la multa non viene comminata al venditore, che pure è l’origine della violazione, ma al compratore finale? La spiegazione è giuridica e affonda le radici in una norma introdotta quasi vent’anni fa. Si tratta dell’articolo 1, comma 7-bis, del decreto legge 35/2005: «L’acquirente finale che introduce nel territorio nazionale prodotti che violano diritti di proprietà industriale o intellettuale è responsabile a tutti gli effetti come importatore». In altre parole: per la legge italiana, chi riceve il pacco a casa diventa automaticamente l’importatore della merce. Non conta che l’acquisto sia per uso personale, non conta il valore dell’ordine, non conta neppure la consapevolezza o meno della contraffazione. L’unico soggetto identificabile sul territorio italiano è il destinatario: dunque su di lui ricade la responsabilità. Le sanzioni previste oscillano da un minimo di 300 a un massimo di 7.000 euro. Nel caso di A.G., la multa è stata fissata in 618 euro: più di quattordici volte l’importo speso.
La voce dei consumatori: «Una sproporzione»
La notizia, emersa nelle ultime settimane grazie all’intervento del Codacons, ha sollevato un immediato dibattito. L’associazione dei consumatori, cui A.G. si è rivolto per assistenza legale, contesta la sproporzione della norma. «Un consumatore medio non ha gli strumenti per verificare l’autenticità di un prodotto venduto online da un marketplace internazionale», osservano i legali del Codacons. «Non può sapere se il venditore abbia una licenza valida, né può distinguere a priori un articolo originale da una copia contraffatta, specie se le immagini e le descrizioni sono ingannevoli. Colpire il destinatario del pacco con multe di questo livello significa punire l’anello più debole della catena». Il tema non è nuovo: da anni le associazioni sollevano dubbi su una normativa che, nata per contrastare il mercato nero, rischia di trasformarsi in una trappola per i consumatori.
La posizione di Temu
Interpellata sulla vicenda, Temu ha risposto con una dichiarazione ufficiale. «I prodotti menzionati sono già stati rimossi dalla piattaforma», ha precisato una portavoce. «Temu è un marketplace in cui venditori indipendenti mettono in vendita i propri articoli. A tutti i venditori viene richiesto di verificare la propria identità e di rispettare i diritti di proprietà intellettuale. Gestiamo un sistema di monitoraggio proattivo e un portale attraverso cui i titolari dei diritti possono segnalare eventuali violazioni». La piattaforma sottolinea anche la propria adesione a iniziative internazionali contro la contraffazione: dall’International Trademark Association al Memorandum of Understanding con la International AntiCounterfeiting Coalition. «Abbiamo ampliato il nostro team di Identity Protection e intensificato la collaborazione con i titolari dei diritti», conclude la nota. Resta però il fatto: nonostante i sistemi di controllo dichiarati, un articolo contraffatto è arrivato a un consumatore italiano, ed è stato quest’ultimo – non il venditore – a pagare le conseguenze.
Temu e il mercato delle piattaforme «low cost»
Per capire il contesto, bisogna allargare lo sguardo. Temu, lanciata nel 2022 dal colosso cinese PDD Holdings, è cresciuta in modo impressionante grazie a prezzi bassissimi, promozioni martellanti e un’app che si colloca stabilmente tra le più scaricate negli store italiani. Il modello è simile a quello già sperimentato da Shein nel settore moda: una piattaforma che mette in contatto produttori cinesi e consumatori occidentali, saltando quasi tutti gli intermediari. Temu si presenta come un «mercato globale» in cui centinaia di migliaia di venditori propongono direttamente i loro articoli, dall’elettronica ai giocattoli, dai vestiti agli accessori. Il risultato è un catalogo sterminato, prezzi irrisori e tempi di spedizione relativamente brevi nonostante la distanza. Ma c’è un rovescio della medaglia: la difficoltà di monitorare efficacemente la provenienza e la liceità dei prodotti.
Il fenomeno della contraffazione online
Secondo l’ultimo rapporto dell’OCSE e dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), il commercio internazionale di prodotti contraffatti rappresenta circa il 3,3% del commercio mondiale, pari a oltre 500 miliardi di dollari l’anno. La digitalizzazione ha moltiplicato le vie di accesso. Se un tempo la contraffazione si concentrava sui mercati rionali e sui container sequestrati nei porti, oggi passa sempre più spesso attraverso canali digitali: piattaforme di e-commerce, social network, marketplace paralleli. Gli articoli più colpiti? Abbigliamento e accessori, cosmetici, giocattoli, dispositivi elettronici. Tutti settori in cui il marchio ha un valore simbolico forte e in cui la distinzione tra originale e copia può risultare difficile da cogliere a distanza.
In Italia, la vigilanza spetta all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, che opera in collaborazione con la Guardia di Finanza. Negli hub principali – Fiumicino, Malpensa, Bologna, Venezia – i controlli sulle spedizioni provenienti da Paesi extra-UE sono quotidiani. Il meccanismo funziona così: quando un pacco appare sospetto, viene fermato e sottoposto a verifica. Se emergono indizi di contraffazione, si chiede una perizia ai legali che rappresentano i titolari dei marchi. Se la conferma arriva, la merce viene sequestrata e scatta la contestazione al destinatario. Secondo i dati più recenti, ogni anno vengono intercettati centinaia di migliaia di articoli contraffatti diretti ai consumatori italiani. La maggior parte ha un valore unitario basso, ma il fenomeno complessivo rappresenta un danno rilevante per l’economia e per le imprese titolari dei marchi.
Alcuni giuristi propongono di rivedere la normativa, introducendo una distinzione tra acquisti per uso personale e importazioni a fini commerciali. L’idea sarebbe di concentrare le sanzioni più pesanti sui casi in cui esiste un intento di rivendita, prevedendo invece forme più leggere di responsabilità per chi acquista singoli pezzi per sé o per la propria famiglia. Un’altra ipotesi è rafforzare gli obblighi delle piattaforme, rendendole corresponsabili della genuinità dei prodotti venduti. Una direzione che l’Unione Europea sta già percorrendo con il Digital Services Act, entrato in vigore il 17 febbraio 2024, che impone ai grandi marketplace obblighi stringenti di tracciabilità dei venditori e di rimozione tempestiva delle inserzioni illegali. Resta però da capire come queste regole europee possano interagire con le normative nazionali, e soprattutto se saranno in grado di incidere concretamente su fenomeni così vasti e frammentati.
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9 settembre 2025
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