Giada Corradini: l’esordio mondiale e il supporto della squadra
Vedere Giada Corradini indossare la maglia della nazionale maggiore non è certo una sorpresa per gli appassionati e le appassionate di rugby femminile.
L’azzurra si era già fatta notare quando è entrata in campo per l’Italseven, la nazionale italiana di rugby a 7, e quando ha rappresentato l’under 20.
“Non ci credevo neanche io”, continua Corradini. “[Ho provato] sicuramente un mix tra felicità ed emozione. Mi sono chiesta se fossi all’altezza per poi dire ‘sì, è uguale, devo andare in campo e fare quello che so fare’. Diciamo che è stato emozionante, ma allo stesso tempo mi sono auto tranquillizzata dicendo se sono qui vuol dire e se mi hanno dato una opportunità è perché ho lavorato bene”.
Un sogno che è diventato realtà, davanti a oltre 13mila persone giunte a Northampton per assistere all’ultimo match della fase a gironi e che ha potuto condividere con altre compagne di squadra come Gaia Buso, Alessandra Frangipani, Laura Gurioli e Alessia Pilani, tutte e cinque all’esordio iridato, chi titolare e chi dalla panchina.
Con le sorti di Italia e Brasile già stabilite, il ct Fabio Roselli ha deciso di testare i nuovi innesti e di far fare esperienza a chi, in Coppa del mondo, ancora non aveva avuto modo di giocare.
Un’emozione per le cinque esordienti che hanno potuto contare sul supporto e sul sostegno delle proprie compagne più esperte.
“Diciamo che è stato un debutto per tante”, ha continuato Corradini. “È stata una cosa nuova per molte, me compresa”.
“L’emozione di entrare in campo sapendo che ci sono delle veterane fortissime, come [Beatrice] Rigoni e [Michela] Sillari e avere il loro supporto, il loro aiuto tecnico e anche emotivo mi fa sognare”, ha aggiunto l’azzurra. “Le seguo da quando sono bambina, quindi averle al mio fianco, sia dentro che fuori dal campo, è un’emozione unica”.
Un supporto che, più che a parole, è stato dimostrato con i fatti. “Il sostegno [è arrivato] con gli abbracci, attraverso il caricarci anche nei giorni precedenti, al di fuori del giorno della gara in sé. È stato molto più un contatto fisico. Una carica più affettiva, che a parole”.