Il punto unico di accesso sanitario, già attuato in alcuni territori, diventerà «il modello» per tutta l’Umbria, presente in tutte le case della comunità previste dal nuovo Piano sociosanitario, «rivoluzionando la concezione di assistenza sociosanitaria». Lo ha annunciato la presidente della Regione Stefania Proietti alla Scuola umbra di amministrazione pubblica, che ha ospitato l’evento «Il Punto unico di accesso: porta di ingresso all’integrazione sociosanitaria» durante il quale stato presentato il modello organizzativo regionale per la presa in carico della persona con i suoi bisogni complessi e ponte per l’accesso dei cittadini ai servizi sanitari e sociali dell’Umbria. Alla giornata, anche l’amministratore unico Scuola, Joseph Flagiello, la direttrice regionale Salute e welfare, Daniela Donetti e oltre 220 tra direttori delle aziende sanitarie regionali, professionisti del sistema sanitario e sociosanitario, delle zone sociali, i rappresentanti degli ordini professionali, del terzo settore e delle parti sociali. «Finalmente – ha detto Proietti – i cittadini avranno un unico punto di riferimento, nel Distretto sanitario di residenza, per accedere a tutti i servizi, superando la frammentazione che spesso ha reso difficile orientarsi nel sistema. È un passo fondamentale verso un sistema salute più accessibile, integrato e vicino alle persone. Si tratta dell’esito di un lavoro costruito e condiviso con le zone sociali, le direzioni delle aziende sanitarie, i distretti, in cui sono stato individuati sia gli standard da attivare nei servizi».
Il Pua – spiega la Regione – punta ad eliminare la frammentazione nell’assistenza sanitaria, sociale o sociosanitaria, creando un unico sportello dove ogni cittadino può trovare accoglienza, orientamento e una risposta concreta. Garantisce che nessuna richiesta venga respinta o rimandata ad altri. Il personale formato appositamente ha il compito di accogliere ogni istanza e di avviare immediatamente il percorso più appropriato, anche quando la documentazione non è completa o quando il bisogno non è ancora ben definito. «Questa filosofia – sostiene Palazzo Donini – rappresenta un cambio di paradigma fondamentale: non è più il cittadino a doversi adattare alla complessità del sistema, ma è il sistema che si organizza per essere accessibile a tutti. Particolarmente significativo è l’approccio verso le persone più fragili e vulnerabili. Il Pua è stato pensato proprio per chi ha maggiori difficoltà a orientarsi nei servizi: anziani, persone con disabilità, famiglie in difficoltà, cittadini con problemi di salute mentale. Per questi soggetti, spesso portatori di bisogni complessi che richiedono l’intervento coordinato di più servizi, il Pua rappresenta finalmente un punto di riferimento stabile e qualificato». Il funzionamento si basa su un modello organizzativo articolato su più livelli, ciascuno con competenze specifiche ma tutti coordinati per garantire continuità e appropriatezza degli interventi.
Al primo livello, il front office rappresenta il volto più visibile del servizio. Qui operano professionisti amministrativi specializzati che hanno il compito di accogliere tempestivamente ogni richiesta e di orientare correttamente la persona all’interno della rete dei servizi. Quando la richiesta necessita di approfondimento, entra in gioco il back office di primo livello, dove operano professionisti sanitari e sociali con il compito di decodificare la domanda e proporre il percorso più appropriato. Questo livello è considerato fondamentale perché rappresenta il momento in cui viene fatta la prima vera valutazione professionale del bisogno espresso. Se la situazione è semplice e può essere risolta con l’attivazione di un servizio specifico, il percorso si conclude qui. Se invece emerge la necessità di una presa in carico integrata, la persona viene affidata all’équipe multiprofessionale del secondo livello. Il back office di secondo livello costituisce il cuore pulsante del nuovo modello assistenziale. Qui operano équipe integrate composte da medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici di distretto, infermieri di famiglia o comunità e assistenti sociali. Quando necessario, il team si arricchisce con altre figure professionali specialistiche. Queste équipe hanno il compito di fare una valutazione multidimensionale del bisogno, considerando non solo gli aspetti clinici ma anche quelli funzionali, sociali e ambientali della persona. L’approccio multidimensionale non rappresenta un semplice affiancamento di competenze diverse, ma una vera integrazione professionale che permette di leggere la complessità della persona nella sua interezza. L’obiettivo è elaborare un Piano assistenziale individualizzato che tenga conto tanto delle limitazioni quanto delle potenzialità del soggetto e del suo contesto di vita, per favorire il recupero della massima autonomia possibile.
Per le situazioni di maggiore complessità, che richiedono una presa in carico sociosanitaria integrata con impegno significativo di risorse, viene attivata l’Unità di valutazione multidimensionale, il livello più specialistico del sistema e ha il compito di definire progetti personalizzati di lungo termine, inclusi i nuovi Progetti di vita individuali previsti dalla normativa nazionale per le persone con disabilità. Ogni Pua sarà collocato presso le Case della Comunità, strutture che rappresentano il nuovo modello di assistenza territoriale previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.
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