“I murales del Liberati non sono semplici decorazioni murarie, ma un lascito degli esuli cileni alla nostra città, testimonianza viva di lotta contro la dittatura, solidarietà e accoglienza. La loro perdita o compromissione rappresenterebbe un danno irreparabile dal punto di vista storico, artistico e civile. Queste opere, dipinte all’interno della curva est e della curva sud, rappresentano una testimonianza unica di solidarietà internazionale, memoria storica e impegno civile. Realizzati dai profughi cileni ospitati a Terni dopo il golpe di Pinochet, sono un patrimonio culturale e identitario della città e tra i pochi esempi ancora presenti in Italia”. Sono le parole comparse nell’appello, lanciato alcuni giorni fa, dalle associazioni e dai gruppi della Curva Est dello stadio “Liberati” di Terni che chiedono l’intervento della Soprintendenza per tutelare questi storici murales, dipinti qui nel 1975 dalla Brigata Pablo Neruda. Dopo il golpe del 1973, quel gruppo, che aveva sostenuto l’avventura al governo di Salvador Allende e della sua Unidad Popular, raccontando con i murales il Cile che sognavano – libero, egualitario e antifascista – era dovuto fuggire dal Paese. E parte di loro si era trasferita in Italia, a Terni.

Antonio Arevalo tra gli autori dei murales cileni a Terni

Non tutti sanno che tra quei giovani c’era anche Antonio Arevalo, critico e curatore d’arte, considerato uno dei più importanti promotori della cultura del Sudamerica in Europa. Nato a Santiago del Cile, è stato costretto alla fuga in Italia appena sedicenne dopo il golpe di Pinochet, come molti suoi coetanei. Ha vissuto a Roma un periodo d’oro per la cultura, durante gli anni in cui Renato Nicolini era Assessore alla cultura del Comune di Roma, nel periodo 1976–1985, e dava vita alla celebre manifestazione culturale Estate Romana. Ora Arevalo è da anni attivo a Viterbo: è stato nominato, dal Presidente della Repubblica Michelle Bachelet, rappresentante della cultura cilena in Italia. Ma quando era ragazzo, nei mesi immediatamente successivi al suo arrivo in Italia, è stato più volte a Terni e nel 1975 ha contribuito a realizzare uno dei quattro murales allo stadio Libero Liberati di Terni, intitolato al campione del Mondo di motociclismo nato proprio in città. Murales che ora rischiano di andare perduti perché al suo posto si vuole  costruire un nuovo stadio. Abbiamo Intervistato Antonio Arevalo e ci siamo fatti raccontare i ricordi di quella straordinaria esperienza ternana.

L’articolo continua più sotto

La brigata Pablo Neruda all'opera. Photo Sergio CoppiLa brigata Pablo Neruda all’opera. Photo Sergio CoppiAntonio Arevalo racconta la storia dei murales cileni di Terni

Gli storici murales, realizzati dai profughi cileni ospitati a Terni dopo il golpe di Pinochet, sono in questi giorni al centro dell’attenzione. Cosa sta succedendo?
Che stia succedendo non lo so. Succede che un giorno di qualche anno fa il tuo compagno ti porta a Roma delle persone che ti vogliono conoscere e scopro che sono di Terni. Ti viene in mente che sei stato diverse volte, ma quella più significativa, è stata a pochi mesi dal mio arrivo in Italia dal Cile (correva il 1975).

Che cosa ci faceva a Terni nel 1975?
Dovevo disegnare un murale perché chi doveva farlo si è ammalato e “compagno, bisogna che ti tiri su le maniche e pensi a un progetto”.

Così lei è uno degli autori di quei murales.
Non ero nuovo a questo, fin da piccolo ho fatto parte dei gruppi che uscivano la notte per dipingere, a Santiago del Cile, immensi murales, rischiando attentati e detenzioni. Più di una volta sono finito in caserma, ma ero troppo giovane per trattenermi. Era la nostra maniera di comunicare. Riempire i muri di belle immagini molto colorate e un filo nero a sottolineare il tutto. “Venceremos”, “El Pueblo unido jamas sera vencido”, gli slogan più ricorrenti.

E a Terni?
A Terni, invece, si trattava di sensibilizzare l’opinione pubblica sugli orrori della dittatura di Pinochet che affliggeva il mio paese, il Cile, e che ci aveva costretti ad andare via, verso un esilio che non è mai finito.

I murales della Brigata Pablo Neruda allo stadio Liberati di TerniI murales della Brigata Pablo Neruda allo stadio Liberati di Terni

Che ricordi ha di quell’esperienza ternana?
Avevo 17 anni quando salii su quelle altissime impalcature dello stadio Libero Liberati di Terni. Eravamo in quattro e gli altri, come me, non avevano più di vent’anni. Carmen, Rodrigo, Claudia e io. L’arrivo di quegli amici ternani qualche anno fa ha riportato in me il ricordo di tutto questo. Mi hanno detto: “Sei cileno, noi abbiamo una cosa cilena alla quale sia noi che il popolo della tifoseria ternana tiene tantissimo, è come se ci portasse fortuna”.

Che cos’era?
“I murales che i giovani cileni dipinsero tantissimi anni fa, è stato appena finito il restauro, si erano un po’ sbiaditi col tempo”. Sono caduto dalle nuvole, non ci potevo credere a quello che mi avevano risposto.  Poco tempo fa avevamo organizzato con degli amici una mostra sul lago di Bolsena, fra loro c’era il fotografo ternano Sergio Coppi. Nemmeno lui poteva credere che ero stato io a disegnare quell’opera. Tempo dopo mi inviò la foto che aveva fatto lui e che mi ritraeva sulle impalcature con in mano i disegni, perché si trattava non soltanto di un murale, ma di quattro che ancora oggi sono lì. Ricordo di aver disegnato anche i murales di Pistoia. Da poco ci sono stato e mi hanno ricevuto come se fossi un parente, un amico di vecchia data.

Come mai non tutti sanno che tra gli autori di quei murales c’è anche lei?
La mia figura non viene associata alla muralistica dell’esilio cileno, nonostante tutti sappiano che io sono prevalentemente un profugo, diventato nel tempo poeta e curatore d’arte contemporanea. È più conosciuto il mio percorso alla Biennale di Venezia o negli spazi dedicati all’arte. Poi, soprattutto perché quel momento non è durato molto, da lì a poco sarei uscito dalla militanza dell’esilio. Roma viveva il suo miglior momento e per me era fondamentale creare un’identità, far parte della nuova società che mi accoglieva, dei movimenti culturali che all’epoca era molto stimolanti. L’era nicolinana, per capirci.

Claudia Giraud

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati