La dermatite nodulare contagiosa (DNC) ha rappresentato una seria minaccia per la zootecnia della Valle d’Aosta, a causa dei focolai emersi in Alta Savoia, Francia. Questo aveva spinto le autorità italiane a estendere la zona di sorveglianza a numerosi comuni valligiani, tra cui Courmayeur, La Thuile, Pré-Saint-Didier e diversi altri situati vicino al confine, fino a considerare potenzialmente tutta la regione coinvolta.
Per contrastare efficacemente il contagio è stata avviata una campagna vaccinale obbligatoria rivolta all’intera popolazione bovina regionale: “Parliamo della vaccinazione di 38.000 capi, oltre ad alcuni alpeggi di animali piemontesi che vengono in transumanza qua in Valle d’Aosta”.
Per sapere di più sulla campagna di vaccinazione e sui suoi esiti, abbiamo interpellato Davide Mila, presidente dell’Ordine dei Veterinari della Valle d’Aosta.
“L’organizzazione, passata tramite l’assessorato alla Sanità di Aosta, è stata ottima: tutti gli organi sono stati coinvolti in questa cosa e questo ha garantito in qualche modo un’attività che è stata molto intensa. Liberi professionisti, dipendenti Usl, i giovani dell’associazione allevatore Anaborava, l’Institut Agricole Régional, il Corpo forestale e la Protezione Civile”.
Le somministrazioni hanno avuto inizio il 9 agosto, fino a raggiungere e superare 14.000 vaccini in circa undici giorni. La campagna è da considerarsi conclusa il 6 settembre.
“Abbiamo lavoravamo senza sosta, anche la domenica, però alla fine l’obiettivo sanitario è stato raggiunto, ed è ciò che conta. Adesso stiamo aspettando appunto che i 28 giorni in cui siamo in deroga per quanto riguarda la vaccinazione, gli animali poi potranno essere movimentati”.
“Di animali che scendono dall’alpeggio perché hanno avuto qualche problema di salute, ci sono stati due o tre casi dopo il vaccino, ma fa parte della normalità”, ci spiega. “All’inizio c’è stata una certa diffidenza, ed è comprensibile. Poi però, si sono resi conto che non c’erano dei grossi problemi. Anzi, che non c’era altra soluzione: era l’unico modo per tutelarci in tutti i sensi, sia dal punto di vista produttivo che del benessere e della salute dell’animale. Poi, noi avevamo già informazioni anche dalla Francia, perché i francesi sono partiti il 15 luglio a vaccinare”.
Purtroppo, nonostante le cautele, il vaccino solleva sempre scetticismo e tra gli allevatori c’è stato qualche categorico rifiuto: “All’incirca dovrebbero essere rimasti non vaccinati 500 capi. Fortunatamente non abbastanza da pregiudicare la campagna, però gli allevatori vicini sono preoccupati di coloro che hanno rinunciato alla vaccinazione”.
La domanda sorge spontanea: ci saranno dei provvedimenti contro coloro che non hanno vaccinato? “Ci sarebbe l’articolo 500 del penale, quello previsto in caso di diffusione di malattie infettive. Ma non essendoci stati casi, al momento, non viene applicato; però ci saranno ugualmente delle sanzioni amministrative. Adesso stiamo cercando di convincerli comunque per una vaccinazione che è necessaria. Alla fine, noi liberi professionisti siamo tutti veterinari aziendali, e abbiamo un rapporto molto stretto con gli allevatori nostri clienti. L’allevatore ormai ha imparato a fidarsi: non ci vede come chi impone a tutti i costi, per cui c’è un’apertura, tra veterinari e gli allevatori, alla comprensione reciproca”.
Il risultato è comunque stato raggiunto, ed era un passo fondamentale, soprattutto per la produzione lattiero-casearia. Il rischio da evitare era soprattutto lo “stamping out”, ovvero una misura di controllo per le malattie infettive che prevede l’abbattimento di tutti gli animali suscettibili (malati e sani) all’interno del focolaio e nell’area circostante.
“Abbiamo praticamente messo in sicurezza il patrimonio sostenibile, perché una volta arrivati all’85% della vaccinazione non c’era più l’abbattimento totale dei casi, non c’era più lo stamping out. Garantite queste condizioni sanitarie, siamo tutelati. Dopo 20 giorni, secondo gli epidemiologi anche già a 10 giorni, c’era già una risposta immunitaria”.
“Non ne avevamo scelta: se ci fosse stato anche solo un caso che cosa avremmo fatto?” riflette Mila. “Abbiamo 30.000 vacche, se fai 50 chilometri di raggio rischi di doverne ammazzare 5-6.000. Quindi siamo subito partiti tutelandoci, limitando gli spostamenti e applicando tutte le norme di biosicurezza. Abbiamo affrontato anche il problema degli insetti, come avevamo fatto l’anno scorso per la Blue Tongue, trattando 22.000 vacche in alpeggio. Insomma tutte le misure di biosicurezza sono state prese”.