La prima tappa del nostro viaggio nelle ClubHouse italiane: Rugby Calvisano e Rugby Viadana 1970
C’è un luogo, nel rugby, dove il gioco non finisce al fischio dell’arbitro. Dove la fatica si scioglie in una birra, i racconti si allungano fino a notte fonda e i ricordi trovano pareti su cui appendersi. Quel luogo si chiama clubhouse. Non è solo un ristorante, non è solo un bar. È un punto di ritrovo, una seconda casa, un pezzo di memoria collettiva. Ed è anche il cuore vivo e accogliente di ogni comunità ovale.
Nel corso del World Rugby U20 Championship 2025, interamente disputato in Italia, quattro città hanno fatto da teatro al torneo e ai suoi protagonisti: Calvisano, Viadana, Rovigo e Verona. E in ognuna di queste, la clubhouse ha avuto un ruolo chiave non solo per accogliere squadre, tifosi e staff, ma per rappresentare l’anima stessa del rugby italiano.
Iniziamo questo viaggio proprio da Calvisano e Viadana, due luoghi dove il terzo tempo dura tutto l’anno e dove la Clubhouse non è un contorno, ma parte del piatto principale.
RUGBY CALVISANO – La clubhouse come eredità e missione
A Calvisano, la clubhouse è più di un edificio: è la continuazione naturale del campo da gioco. Una struttura cresciuta negli anni grazie alla passione e al lavoro volontario di chi il rugby l’ha vissuto e continua a restituirlo. Come Daniele Davo, 27 anni da giocatore giallonero, un passato da nazionale e un presente da punto di riferimento per tutti:
“Il rugby mi ha salvato – racconta – e ora sento il dovere di restituire. Dopo la morte di Alfredo Gavazzi mi ero un po’ allontanato, ma quando i ragazzi mi hanno chiesto di tornare a dare una mano, non ho potuto dire di no”.
La clubhouse di Calvisano è aperta a tutti, non solo a chi gioca. Il venerdì sera c’è un menù fisso per chiunque voglia unirsi alla cena della squadra. È un modo per coinvolgere il paese, per tenere vivo un legame profondo.
“È un luogo dove si sta assieme, dove si ritrovano vecchi compagni di squadra, dove si torna indietro con la memoria – dice Marco Gavazzi, cresciuto nel club fin da bambino – Abbiamo cambiato l’impostazione negli ultimi anni, grazie anche alla presenza stabile di Diana Appiani che gestisce tutto con grande professionalità”.
La Clubhouse è nata dalla “festa della birra” che per anni ha animato le estati calvine: dai proventi di quella manifestazione è stata costruita la cucina, il bar, l’intera struttura. Un investimento sociale e affettivo, che ha dato vita a un luogo in cui ogni generazione trasmette qualcosa alla successiva.
“Chi ha giocato – prosegue Marco Gavazzi – poi aiuta a portare avanti la Clubhouse. È un passaggio di testimone. Quando vinci uno scudetto, come nel 2005 o negli anni successivi, la festa non è in centro o altrove. È qui, in casa tua, dove tutto è cominciato”.
E i ricordi sono tanti, a Calvisano. Dal celebre scudetto del 2005 festeggiato per tre giorni senza dormire, agli appuntamenti futuri, come l’intitolazione del campo ad Alfredo Gavazzi, prevista per settembre, in occasione del ventennale di quel trionfo.
RUGBY VIADANA 1970 – Dove ogni giorno è un terzo tempo
A Viadana, la Clubhouse ha un nome che è già una storia: “1.3”, come i numeri di maglia di Riccardo e Mattia Cagna, fratelli, ex piloni, oggi gestori del cuore culinario e sociale del Rugby Viadana.
“Siamo aperti tutti i giorni – racconta Riccardo – per i giocatori e per la comunità. Dopo l’allenamento si mangia qui, si scherza, si sta insieme. La Clubhouse è la casa del rugby, e in un posto come Viadana, dove il rugby è una religione, è un punto di ritrovo quotidiano”.
Non solo nei giorni di partita: pizzate infrasettimanali, terzi tempi post trasferta, serate di festa che iniziano all’imbrunire e finiscono col sole che sorge. Una decina di persone ci lavora stabilmente, ma la Clubhouse è anche viva grazie ai tifosi, ai gruppi storici come i Miclas e ai nuovi come i River Boys. Tutti uniti da una stessa passione.
Massimo “Ska” Catalano, team manager del club, è una delle anime storiche del Viadana. Ex giocatore, ex allenatore, da anni anima organizzativa e memoria vivente del club:
“La Clubhouse racconta la storia della società – dice “Ska” indicando le maglie e le foto alle pareti – È nata perché dopo le partite non si sapeva dove andare. Oggi è il nostro punto di riferimento. Abbiamo cambiato il bancone, ampliato gli spazi, e vissuto serate indimenticabili”.
Come quella volta in cui un papà australiano, forse troppo allegro, si tuffò a volo d’angelo su una fila di tavoli dopo averli cosparsi d’acqua. O le feste con DJ fino all’alba, e il rituale non scritto del giocatore che balla in abbigliamento non particolarmente “consono” sul tavolo – il cui nome resta top secret “perché fa ancora l’allenatore…”.
A Viadana, la Clubhouse è dove si tifa, si mangia, si cresce e si trasmette il senso profondo di una comunità.
Il rugby non finisce al fischio finale
In un torneo come il Mondiale Under 20, le luci dei riflettori si accendono sul campo, ma le storie più calde si raccontano nei luoghi come questi. Dove si mescolano dialetti e accenti, sorrisi e sudore. Le clubhouse di Calvisano e Viadana non sono solo strutture. Sono identità, sono memoria, sono futuro.
Sono rugby, fuori dal campo.
E presto il nostro viaggio continuerà: con le storie, le voci e le tradizioni delle Clubhouse di Rovigo e Verona. Perché il rugby italiano, prima di tutto, è una comunità che sa ritrovarsi attorno a un tavolo.